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Fra le molte iniziative editoriali del bicentenario leopardiano, un posto di rispetto dovrebbe toccare al felice ritorno di un piccolo classico degli studi leopardiani, il lungo saggio scritto da Giulio Bollati come introduzione alla riedizione Einaudi (1968) della Crestomazia italiana. La prosa, l’antologia curata da Leopardi per l’editore milanese Stella nel 1827.Lo studio di Bollati viene ora ristampato opportunamente come volume autonomo, col titolo Giacomo Leopardi e la letteratura italiana. Purtroppo, oltre a questo saggio, al prezioso volume L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione (Einaudi, 1983, 1996
recensioni di Turchetta, G. L'Indice del 1999, n. 02
Certo la Crestomazia pare fatta apposta per scontentare tutti, classicisti e romantici. Ma ciò non ne smentisce l’intenzione pedagogica, testimoniata anche dalla consapevole libertà filologica con cui Leopardi pubblica i testi, modernizzandone il dettato e spesso tagliandoli drasticamente, con un editing spregiudicato, di cui Bollati rende conto nell’appendice. Ma la novità e l’originalità della Crestomazia erano soprattutto nell’impianto complessivo, che cassava quasi tutto l’aureo Trecento, privilegiando spudoratamente il Cinquecento e l’Illuminismo, non senza un ricorso assai abbondante, e per l’epoca scandaloso, al Seicento, tendenziosamente spinto nella scia dell’amatissimo Galileo. Con la Crestomazia inoltre Leopardi proponeva un quadro complessivo della prosa letteraria italiana, ma rifiutando di disporlo cronologicamente: si può immaginare con quale entusiasmo da parte di critici dediti al culto dogmatico della Storia. La struttura per generi dell’antologia si rifaceva sì ad antiche partizioni retoriche, ma soprattutto guardava a un modello francese di straordinario successo, le Leçons de littérature et de morale (1804) di Jean-François Noël e François-Marie-Joseph Delaplace. Le Leçons inaugurano l’antologia "moderna", perché non citano più solo testi compiuti, ma si prendono la libertà di riportare passi scelti.
Bollati sottolinea instancabilmente la problematicità di qualsiasi selezione volta a mettere in opera un canone. Ma il cuore del suo discorso, in questo saggio così come nell’Italiano, sta nell’attenzione (a tratti quasi un’ossessione) rivolta al problema della "modernità".Paradossalmente, la Crestomazia di Leopardi si propone di essere moderna proprio in forza di un meditato, programmatico anacronismo. Leopardi vorrebbe che i testi scelti agissero direttamente sulla realtà presente: ma così rivela, con titanico candore, l’inattualità del proprio umanesimo integrale, del proprio invito all’"eroismo", a una rigorosa etica dell’autenticità, che era in rotta di collisione con i valori fondativi della modernità capitalistica (l’"utile", il "funzionale"). Bollati ci fa vedere quanto l’atteggiamento di Leopardi fosse legato a un’ideologia aristocratica. Ma allo stesso tempo ci fa capire come quell’idea di moderno, e quell’utopia, secondo cui "il destino del genere umano si gioca sui modi del rapporto uomo-natura", sia stata in grado, proprio grazie alla sua inattualità, di scavalcare il tempo, tornando a noi miracolosamente carica di futuro.
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