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Ebreo berlinese nato nel 1918, fuggito in Inghilterra all'età di quindici anni, George Lachmann Mosse fu attivo negli Stati Uniti a partire dall'epoca della seconda guerra mondiale. Scrisse studi fondamentali per comprendere i fascismi dal punto di vista antropologico-culturale e fondò, con Laqueur, il "Journal of Contemporary History"; morì nel 1999, relativamente poco noto in Francia e Gran Bretagna, molto più in Italia. Nel quadro del nostro dibattito nazionale sul fascismo, che questo studio di un ricercatore dell'Università di Cassino contribuisce a ricostruire, le sue posizioni furono accolte da Spini, Romeo e De Felice che con lui, al pari di Emilio Gentile (autore nel 2007 di un libro su Mosse, Il fascino del persecutore), tenne anche una corrispondenza per la capacità di strutturare un'antropologia culturale del fascismo. Suscitò tuttavia le dure reazioni di quanti (Furet in testa) ne osteggiavano la teoria della filiazione giacobinismo-nazionalismi-fascismi, già presente in Talmon e perfino in Drieu La Rochelle. Collotti, Salvadori e Tranfaglia avrebbero inoltre criticato in Mosse la tendenza a concentrarsi sulla propaganda e a parlare non di coazione, ma di consenso per spiegare il crossclass appeal dei fascismi. Né sono mancati attacchi dagli stessi ambienti defeliciani: Cofrancesco lo accusava di "pericoloso dilettantismo". La visione del fascismo quale comunitarismo europeista e non meramente reazionario gli ha procurato spesso l'ammirazione della destra storiografica, benché Ernst Nolte ne giudichi ancor oggi riduttivo l'approccio, basato, a suo dire, solo sul tema soreliano del mito in politica e sull'idea dei destini nazionali.
Daniele Rocca
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