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Geologia di un padre (Einaudi, 2013) è un romanzo-memoir che Valerio Magrelli ha scritto dopo ben dieci anni, dopo aver passato tutti questi anni a raccogliere appunti su foglietti sparsi. Un romanzo d’indagine per esplorare nel profondo questo rapporto che ha vissuto con un uomo profondamente diverso da lui. Un uomo depresso, ironico, colto, spiritoso, tenero, affettuoso, un uomo d’altri tempi. Una narrazione che diventa un’analisi a raggi x sul percorso di vita vissuto con Giacinto. Un romanzo fatto di ricordi, dall’infanzia all’età adulta, diviso in 83 capitoli (numero degli anni vissuti dal protagonista) che da memoir sfuma nella paleontologia fino alla geologia, arrivando ad identificare l’origine di quest’uomo con i resti d’origine preistorica dell’uomo trovati a Pofi, paese del Lazio Meridionale, che è il paese natio del padre: «secondo la tradizione locale, la parola Pofi sarebbe la corruzione di Proci, i leggendari pretendenti alla mano di Penelope, i quali, venuti in Italia, vi si stabilirono (ma non erano stati tutti uccisi da Ulisse?) Secondo ulteriori fonti, alcune etimologie del nome (attestato per la prima volta in un codice pergamenaceo dell’archivio di Montecassino datato al 1019) concorrerebbero a nobilitare le origini del paese. Cosí, diverse testimonianze lo fanno derivare da polis, “città”, e ophis, “serpente”, ipotizzando la presenza di una colonia greca nel territorio, in realtà finora non documentata. Secondo altre, Pofi deriverebbe invece dall’espressione, ancora greca, hoi ap’ophios, “quelli del serpente”, in relazione al culto del dio Esculapio. La congettura troverebbe conferma nello stemma di Pofi, costituito da una serpe avvolta intorno a una quercia».
Quel cielo che si riprende i padri troppo presto può talvolta lasciare sul tavolo dei figli un avviso, una traccia, un fazzoletto, una chiave, oppure un tratto d'inchiostro capace di ridare luce a quel viaggio senza che nessuno nel frattempo sia sceso, la prova che l'amore non conosce fermate e riesce anzi a farsi più presente ancora sotto la dolorosa lente di un'enorme assenza. L'incolmabile non esiste in poesia, perché l'immagine avrà sempre riflessi d'infinito. Le metafore arrivano, i guasti di un travaglio incarnato sanno adagiarsi su fogli di leggerezza e incanto, la presa è quella, identica a quel prima, basta soltanto che le parole trasudino la stessa essenza e quella differita in un centro esatto fra le due che è il sangue che riveste il cuore: "Ecco cos'è per me la voce del sangue,/la fitta di chi chiama dall'interno,/e chiama e chiama finché/ la gente intorno si decide a ascoltarla/ mentre lento si spande l'odore del caffè". Niente nutre e colma ogni antro sensibile come il semplice quando diluisce e dispensa le sue meraviglie. Le cose sono voci ancora sul palco, il passo stentato spezza la memoria fra echi di risate tenerissime, la bontà, l'onore, la pazienza, non ci sono che loro a ricamare il resto. Libro meraviglioso, libro che sento mio in quell'onda orfana che travalica ogni distinzione fra chi scrive e chi legge. E' questo il pregio delle cose sincere, lasciarsi abbracciare come lo stesso pur nel distante, respiri che si insinuano nello sterno come comete inattese. Non sono i nostri, eppure sono i nostri. E' la torsione che la poesia sa compiere trasformando in gioia quel divorante grumo di pena, un nero via via meno brullo, plasmato da mani umili, da ascolto interiore mai stantio o formale, ma ricco delle sue ciglia più banali, di istanti rubati, insignificanti, di un cosmo di piccolezze irrealizzate che la pagina fa splendere di grandezza. Magrelli straordinario, fraterno e alato, in un diario che non si potrà scordare. Quest'oggi...Papà.
Molto bello. Scrittura intensa, graffiante, ironica, meravigliosa. Pensieri sul padre scomparso. Come fosse la composizione di un quadro, le pennellate di Magrelli danno piano piano vita ad un ritratto del padre senza sconti, pieno d'amore.
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