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Le probabilità di sopravvivenza di una specie sono di gran lunga maggiori se essa è ricca di variazione genetica, sia essa ereditata dai suoi antenati oppure acquisita durante il suo arco di esistenza. La nostra specie, come quasi tutte le altre, contiene nel suo pool genetico quantità immense di variabilità genetica. Questa variabilità è una risorsa preziosa, perché alimenta il processo di evoluzione. Ma se una popolazione perde troppa variabilità può rischiare l'estinzione. Ogni essere umano, nel corso della sua vita preriproduttiva, accumula nelle cellule molte mutazioni trasmissibili alla generazione successiva (non tutte queste mutazioni comunque, vengono trasmesse alla generazione successiva... ma non credo sia il caso di discutere in questa breve nota di alleli dominanti e recessivi); ne consegue che il „succo“ dell'evoluzione è determinato da un'incredibile varietà di mutazioni. La grande maggioranza di queste mutazioni sono in maggiore o minor misura dannose e vanno rapidamente perdute. Altre hanno scarse conseguenze e altre ancora, pochissime, sono „benefiche“. La maggior parte di queste mu-tazioni (anche quelle benefiche) vanno immediatamente perdute perché all'inizio sono estremamente rare. Le poche mutazioni „benefiche“ che sopravvivono possono diffondersi totalmente o soltanto in parte nella popolazione. Ad ogni generazione i geni vengono rimescolati mediante il processo della ricombinazione. Di conseguenza, ad ogni generazione un allele può trovarsi in una compagnia genetica totalmente diversa, di modo che i suoi effetti sull'organismo possono essere del tutto diversi. I suoi effetti possono anche cambiare in accordo con i mutamenti dell'ambiente. L'accumularsi di queste modificazioni nel pool genetico, introdotto dalla mutazione e governato dalla selezione naturale, dalla ricombinazione e dal caso, rappresenta l'essenza del processo evolutivo.Il modo in cui i geni sono organizzati, facilita l'incanalarsi dell'evoluzione in certe direzioni.
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