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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2009
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"Gatto e topo" del 1962 è la seconda opera della Trilogia di Danzica; le altre due sono "Il tamburo di latta" del 1959 e "Anni di cane" 1963. "Gatto e topo" si svolge nella prima metà degli anni Quaranta del Novecento, ai tempi della Seconda guerra mondiale. Nel romanzo di questa guerra e dei suoi orrori si percepisce una lontana eco. Pilenz, un quattordicenne, è l'io narrante; frequenta il liceo ed è amico di Mahlke di un anno più grande. La loro è una amicizia fredda, distaccata. Non si percepisce nessun affetto tra i due. Eppure, per Pilenz, Mahlke è al centro dei suoi pensieri. Il racconto si apre con Mahlke che è addormentato su di un prato e il cui pomo d'adamo è abnorme e sempre in movimento. Per un gatto lì presente tale pomo diventa un topo, cerca di afferrarlo procurandogli qualche graffio senza importanza. Che senso hanno quel pomo simile ad un topo e quel gatto? Il fatto che Mahlke sia devoto della Vergine Maria mi ha fatto ricordare l'Annunciazione di Lorenzo Lotto, in cui compare un gatto, probabilmente simbolo del male, che spaventato fugge all'apparizione dell'arcangelo Gabriele, mentre simbolicamente il topo, animale ctonico, può rappresentare l'aspetto sotterraneo della comunicazione con il sacro. Un'interpretazione che vale per quel che vale, tanto per dare un senso a questa lettura
Capolavoro letterario
Sarà bene offrire un avvertimento: non leggete questa storia nella dinamica lineare dei suoi periodi. Poco davvero in essa ha corrispondenza con ciò che narra. Già solo il titolo si porta dentro un duetto che sfuma nella metafora, simile a un affluente figlio di un flusso ben più ampio. Lavoro sottile, splendido, ai limiti della favola, mentre siamo nel pieno del dramma che ha dilaniato il cuore del Novecento. Una baia nella quale un vecchio dragamine affondato dorme da decenni come una vasta ferita di ruggine dimenticata. E un ragazzo, uno stranissimo e geniale ragazzo, che va a riposare su di esso per poi gettarsi nelle sue immersioni. Sempre più continue, frequenti, vere e proprie fughe in un interiore più scelto, più silente e sincero. Da cosa scappa Joachim? Da chi? Tolto quel grande strano gozzo (ma non casuale) che domina il suo volto, egli è un ragazzo speciale. Devotissimo alla Vergine, bravo a scuola (ma ne viene allontanato). Generoso con tutti (ma pian piano emarginato). Perché? C'è uno stelo segreto sul quale qualcosa di malato incombe fino alla follia del germoglio. Ma c'è una risorsa che anima Joachim, un dono che gli fa sentire il nascosto polso della storia, l'alito orrendo degli uomini forti, le volontà annientate nella pozza del male. Che reazione può esserci? Nient'altro che tornare a quella magica draga oltre la quale si spengono gli echi infausti dell'intorno: "Da quel venerdì so cos'è il silenzio, il silenzio che si allarga quando i gabbiani se ne vanno. E nulla sa suscitarlo quanto una draga in funzione alla quale il vento sottrae i rumori". Una lentezza coltivata, voluta, la dolce stramberia di un diverso a compiere l'impresa più alta che possa darsi, la fedeltà al proprio io, al proprio viaggio di dentro. Seconda tessera della Trilogia di Danzica; in apparenza la più sfuggente, ma in verità chiara e precisa come il fiuto di chi sente le cose, e le anticipa, le risolve, le vince.
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