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PATER, WALTER, Studi greci
PATER, WALTER, Ritratti immaginari
PATER, WALTER, Gaston de Latour
recensione di Villa, L., L'Indice 1996, n. 5
Tanto il convegno tenutosi nel dicembre '94 a Venezia, quanto la piccola fioritura di traduzioni uscite tra il '94 e il '95, segnalano - dopo decenni di incuria editoriale e modeste fortune accademiche - un improvviso riaccendersi, in Italia, dell'interesse per Walter Pater (1839-94), il più elegante prosatore del secondo Ottocento inglese, raffinato studioso di letterature classiche e di arte, rappresentante, se mai ve ne fu uno tra i sudditi di Vittoria, della luk csiana "cultura estetica".
Forse è, anche da noi, la temperie di fine millennio a propiziare le rivisitazioni della fine Ottocento: solo che, mentre in Inghilterra e in America la critica radicale (che va per la maggiore) predilige l'avanguardia degli anni novanta, col suo manipolo di "irregolari" decadenti (le New Women, gli omosessuali, le figure epigonali marginalizzate nelle prevalenti "genealogie del modernismo"), i nostri anglisti riscoprono - con più quieto tradizionalismo - il (riluttante) maestro di quella generazione. E se lo fanno non è certo per valorizzarne la mascolinità alternativa, o il côté "perverso", che gli conquistarono discepoli scomodi come Oscar Wilde, Arthur Machen, Vernon Lee, e l'attenzione del nostro più illustre studioso di cose "decadenti", Mario Praz. Nelle loro introduzioni, i curatori dei volumi sottolineano piuttosto la ricerca di equilibrio tra arte e moralità (Marucci), la "sensibilità reticente" e lo Streben dello stile verso la "condizione della musica" (Colaiacomo), collocando Pater in una nicchia tutta sua - dopo Wordsworth e Keats, ma prima di Eliot o Proust - nel pantheon dei Grandi, tra i "precursori della nostra sensibilità".
Non stupisce che l'opera pateriana si presti a "usi" contrastanti: tanto i partigiani dell'ordine costituito degli studi letterari, quanto i soggetti che - non riconoscendosi rappresentati da quell'ordine - cerchino di legittimare politiche culturali diverse, trovano sicuramente un Pater che fa per loro. I suoi scritti, infatti, sono segnalati da una irrisolta divaricazione tra fascinazione per il particolare, inteso come ciò che eccede la norma, e la reazione un po' spaventata che sempre tende a disciplinare gli esiti della "trasgressione". Tale divaricazione - tipica della rappresentazione dell'individuale nel secondo Ottocento - in Pater non solo si fa oggetto di riflessione e di racconto, ma costituisce una modalità di percezione della storia. Essa ne struttura la narrazione come alternarsi di espansione (l'impulso della modernità, il "genio" di un presente liberatosi dalle rigidità della convenzione) e di contrazione (il gesto correttivo di ascesi, la ripulsa di ciò che appare vertiginoso eccesso, pericolosa esuberanza).
Così accade, esemplarmente, negli Studi greci, in cui la "mente greca" appare divisa tra una "tendenza centrifuga, asiatica, ionica, che fugge dal centro, che opera in maniera diretta, d'impulso, per lo sviluppo di ogni pensiero e ogni fantasia", e una tendenza "centripeta", "dorica", che lavora per "imporre l'ideale di una sorta di astrazione e calma parmenidee nella mitologia, nella poesia, nella musica, nell'arte di ogni genere". E così avviene anche in "Gaston de Latour", in cui lo spirito del secondo Cinquecento francese viene rappresentato mediante un protagonista diviso tra un habitus mentale tradizionale, rispettoso dell'autorità, devoto, casto, austero, e la seduzione della modernità, annunciata dalla "nuova cultura dell'immaginazione", e dal relativismo, che con Montaigne riduceva la verità a "minuta visione del particolare... in questo particolare momento, e unicamente da questo punto di vista - quello per te e questo per me - ora, ma forse non allora".
Spiccatamente autoriflessiva, la scrittura pateriana pratica di preferenza un territorio di confine tra il saggio e il racconto, appaesandosi nella forma del "ritratto immaginario", un sofisticato sottogenere narrativo che ebbe una fortuna negli ambienti estetico-decadenti inglesi. Esso viene usato da Pater per costruire - mediante la narrazione stilizzata di emblematiche vicende individuali - un accesso ad alcuni luoghi-tempi della storia nei quali è possibile cogliere l'avvento perturbante del "moderno" (la Francia tardomedievale, la Germania del primo Settecento...), e il suo rapido consumarsi in un nuovo formalismo (con Watteau, "il principe dei pittori di corte"), in un'estrema narcisistica vocazione all'ascesi (in "Sebastian van Storck"). Caratteristica - in "Denys l'Auxerrois e Apollo in Piccardia" - è la messa in scena dell'innescarsi della modernità, euforizzante e pericolosa, come resurrezione degli antichi dèi spodestati, un topos che Pater trasse da Heine, e trasmise alla generazione successiva intridendolo di un più di demonismo, di crudeltà fin de siècle. Tipicamente pateriane sono, poi, le figure dell'incipienza del nuovo: giovinetti pensosi, anime "diafane", androgine (Sebastian, Denys, Antony, ma anche Gaston, o il protagonista di "Mario l'Epicureo", o l'"Ippolito velato" degli Studi greci) - più che personaggi, "ritratti" appunto, congelati da una modalità di scrittura che è, e al tempo stesso non è, racconto.
L'uniformità dell'immaginario pateriano è il prodotto tanto di questa inclinazione all'ekphrasis (la descrizione verbale di opere d'arte, o di oggetti naturali come se fossero oggetti d'arte), quanto della sua particolare marca stilistica. Oltre a privilegiare un lessico elevato, colto, talvolta arcaicheggiante, Pater forza la sintassi dell'inglese, abbondando in incisi e circonvoluzioni, pronomi (specie l'onnipresente "it") dal referente incerto, subordinate gerundivali che non si sa bene da che dipendano. Cerca di realizzare, questo stile, l'ambizione "estetica" di non ridurre il significato dell'esperienza, catturandone sulla pagina la complessità: non in una sintesi bilanciata, che metta tutti d'accordo, ma in una molteplicità di sguardi che è arduo trattenere insieme. È, va da sé, uno stile difficile, che impegna strenuamente i traduttori; e che, nel caso di Vittoria Caratozzolo, la stimola, pagina dopo pagina, a uno splendido virtuosismo dell'intelligenza e della parola.
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