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Che in epoca fascista sia stata stesa una pesante coltre sulle nostre operazioni coloniali in Etiopia e in particolare sull’uso, non sporadico, che si fece dei gas asfissianti e urticanti è comprensibile, anche se ovviamente non giustificabile; che poi nel dopo guerra ci sia stato un netto ostracismo per quanto concerne appunto la questione del nostro ricorso a queste armi, messe al bando nella Convenzione di Ginevra, peraltro da noi sottoscritta, appare del tutto illogico; approfondendo l’argomento, si viene fin da quasi subito a scoprire che questa atroce verità cozzerebbe con l’immagine, che ci siamo attribuiti, di italiani sempre brava gente e della vulgata secondo la quale in occasione delle guerre coloniali adottammo in ogni circostanza un comportamento umano. E’ vero che in alcuni teatri di guerra ci comportammo in modo civile e onorevole, ma è altrettanto vero che in altri fummo dei massacratori, né più né meno dei famigerati tedeschi. In questo contesto trova quindi una spiegazione il comportamento tenuto a livello governativo e militare nei confronti dello storico Angelo Del Boca, che pur in possesso di scarse e scarne notizie che parlavano dell’uso da parte nostra dei gas chiedeva invano con insistenza e a gran voce che fosse possibile accedere ad archivi altrimenti riservati. Nonostante l’evidente ostracismo, le minacce, la chiusura netta, poco a poco si alzò questo pesante velo di omertà e così non solo trovò conferma il nostro metodico utilizzo di gas, ma anche la preponderanza di tali mezzi di distruzione in una guerra che, almeno sulla carta, avremmo dovuto vincere nel giro massimo di un mese. Questo saggio storico, a cui hanno contribuito, oltre ad Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Ferdinando Pedriali e Roberto Gentili, è frutto di un articolato lavoro svolto negli archivi militari, ricerche che, pur nella loro incompletezza, hanno evidenziato una precisa volontà di Mussolini di arrivare alla vittoria con qualsiasi mezzo, ivi compresi i gas.
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