L'8 gennaio 1934 Leone Ginzburg rifiutò di giurare fedeltà al fascismo. Ne seguirono due anni di carcere: un precoce combattente della Resistenza, che non imbraccerà mai le armi, risultando tuttavia uno fra i più integerrimi e tenaci avversari del regime. Collaborò alla fondazione della casa editrice Einaudi e cominciò a organizzare la dissidenza nel mondo intellettuale torinese prima dell'arresto, riprendendo dopo la scarcerazione. Norberto Bobbio, suo coetaneo e compagno di classe, ha ricordato come, studente di prima liceo al d'Azeglio di Torino, Ginzburg in "ciò che diceva portava l'impronta di una personalità ormai formata che non si lasciava guidare dall'opinione corrente". La sua vita, pur breve, è un vero romanzo. La sua storia è quella di un singolo, ma anche del popolo ebraico, travolto dalla storia del Novecento che soffiò da est verso ovest. Figura degna di grande ammirazione per il coraggio delle proprie scelte e il rigore morale con cui le difese fino al sacrificio estremo. Morirà infatti a soli trentacinque anni, in carcere, il 5 febbraio del 1944, a seguito delle torture subite. In questo breve saggio Ginzburg ci rivela da quali idee e da quali personaggi della storia trasse esempio e stimolo all'azione. Pubblicato in "La Cultura" nel 1932, lo scritto sui rapporti tra Giuseppe Garibaldi e Aleksandr Herzen ci dice infatti quanto importante sia stato il Risorgimento nell'alimentare ideali di opposizione al fascismo che non fossero totalmente debitori di ideologie nate e maturate altrove. Dal punto di vista più strettamente storiografico, Ginzburg rinviene nella figura di Herzen la chiave di accesso al complesso, ambivalente rapporto tra Mazzini e Garibaldi. Un contrasto di metodo, quello fra i due; così lo ritenne il giovane studioso antifascista. Herzen avvertì sempre nel primo un'intransigenza ideologica ("un monaco medievale", ebbe a definirlo), che nel secondo era mitigata dal "buon senso" e dalla duttilità proprio dell'uomo d'armi e d'azione. Garibaldi, nell'attenta ricostruzione che Ginzburg compie grazie a lettere e documenti dell'epoca, fino allora sconosciuti, mostra sia un'acuta conoscenza di Mazzini, di cui afferma che "conosce l'Italia colta e ne signoreggia le coscienze", ma "gode d'avere insegnato ai suoi allievi a irritare il Piemonte", sia la consapevolezza altrettanto profonda di come il popolo italiano cerchi anzitutto l'indipendenza dallo straniero non comprendendo a che pro scagliarsi "contro l'unico regno forte d'Italia". Il riavvicinamento fra i due, sincero, avverrà solo a unificazione compiuta, e a unirli sarà, una volta presa anche Roma, la comune critica alla carente, se non assente, politica sociale dei governi del regno. Su questo convergeva anche l'ultimo Herzen, artefice di quel riavvicinamento sancito nella sua dimora di Londra il 17 aprile 1864. Scrive, in conclusione, lo stesso Ginzburg: "mancava ogni accenno a quella che già allora si chiamava 'questione sociale', a una libertà da cui scaturissero, prima dei diritti politici, la dignità e l'indipendenza per la classi umili, diseredate". Nascevano così le premesse di quel mito del "Risorgimento tradito" che, elaborato fra Oriani, Missiroli e Gobetti, avrebbe attraversato fascismo e antifascismo, e che tanta influenza ha avuto sulla cultura politica dell'Italia repubblicana. Danilo Breschi
Leggi di più
Leggi di meno