"In fondo all'aula gremitissima, Longhi, alto, tutto nero, leggeva i suoi mirabili Momenti della pittura bolognese". Arcangeli ricordò per sempre come, nella sua prolusione del 1934, Roberto Longhi dipanasse l'aurea matassa della tradizione pittorica felsinea. Sulla fine del 1936 si decise a chiedergli la tesi. Gli venne affidata una ricerca su un pittore bolognese della fine del Trecento, Jacopo di Paolo, che sarà discussa nell'ottobre del 1937. È questo il testo che viene pubblicato ora con esemplare attenzione filologica, con i necessari aggiornamenti, un saggio sull'officina longhiana bolognese e uno straordinario carteggio Longhi-Arcangeli. Quali le ragioni del maestro per affidare al primo dei suoi allievi la tesi su una "persona non altissima, ma tuttavia molto significante della pittura bolognese" e quali le ragioni per pubblicarla oggi? Risposta evidente al secondo punto: Arcangeli è stato un grande, originale, appassionato storico dell'arte, uno scrittore e un poeta. Insieme ad Alberto Graziani ha partecipato alla nascita di una scuola, quella longhiana, che ha avuto un gran ruolo nella storia della storia dell'arte e non solo, visto che arruolò, accanto agli specialisti, letterati come Bertolucci e Bassani, Pasolini, Testori a Garboli. Quanto a Jacopo di Paolo (c. 1345-1426), questi rappresentava un'eccezione nello svolgimento della pittura trecentesca bolognese. Operoso alla cerniera tra due secoli e alfiere di una sorta di cubismo neogiottesco, si era dimostrato capace di agire in controtendenza agli umori prevalenti, ma anche di sconvolgere i suoi schemi e di accordarsi alle nuove tendenze del "gotintern", dando prova di una così felice fantasia ritmica da "rivolar per l'ultima volta fra le braccia del lirico patriarca Vitale" e tale da rendere la predella dell'altare Bolognini a San Petronio "vibrante al pari dei più fulgidi pittori di vetro". È questo l'artista problematico, ora alto ora basso (aveva "pennelli da due prezzi"), prima neogiottesco poi convintamente internazionale, che Longhi propone all'attenzione del giovane. Sono stato allievo di Longhi, amico di Arcangeli e tanto di lui della sua passione della sua testardaggine, dei suoi dubbi, dei suoi umori, della sua fatale "melenchonia"??? ritrovo in questo libro. Si confronta con un pittore che all'inizio non ama, diverso come è dalla libera linea di Vitale, ne intuisce l'alta statura rispetto all'"accademia abbastanza povera" di Simone dei Crocifissi o di Cristoforo, si diverte a scorgere negli angeli osannanti dell'Incoronazione della Vergine della Pinacoteca di Bologna "la più rustica e graziosa cantoria che si possa vedere" (Longhi chiosa: "Non insista troppo su cotesti motivi e cerchi di scoprire rapporti più interni di linguaggio figurativo"), ma si sforza di capire il senso del revivalismo "fin de siècle", la "natura morale" del ritorno a Giotto e anche della svolta successiva, iniziata forse prima dell'approdo in San Petronio del turbinoso Giovanni da Modena. Perlustra chiese e cappelle di Bologna, scopre sempre nuove opere, azzarda attribuzioni, le sottopone a Longhi che puntualmente le verifica e le discute, avvertendo: "E guardi però che in questo campo le impressioni debbono diventare al più presto constatazioni". Il libro architettato da Massaccesi ha un altissimo merito: permette di seguire passo passo la tortuosa strada di una ricerca. "Ma vede quanto dà da fare anche un artista di seconda fila (o terza) come Jacopo di Paolo − conclude Longhi. − Però è un da fare molto divertente, almeno lo auguro tale per Lei". Enrico Castelnuovo
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