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“Io non riesco a darmi pace / se, ogni tanto, non rivolto / la mia esistenza come un guanto, / per ripassarla tutta. Macchie, buchi di tarme, cerniere rotte, orli che pendono, / bottoni che mancano, antiche / bruciature di sigarette, ‘scorlere’, / smagliature”. Così scrive Giulia Niccolai in uno dei New frisbees, sezione conclusiva del suo ultimo libro Foto e Frisbee; e se l’esistenza è un’esistenza come la sua – vissuta liberamente fra l’America e l’Italia fin dagli anni Cinquanta, anni in cui era molto difficile per una donna vivere in modo non convenzionale, trascorrendo esperienze in una professione, quella di fotografa, in quel tempo inusuale per le donne e in compagnia, per più di quindici anni, della pervasiva presenza di Adriano Spatola – ci rendiamo conto della coraggiosa avventura di questo rovesciamento, testimoniata e punteggiata da scelte linguistiche che pur nella costante, personale, ricerca di un senso altro – fondamentale la scelta della pratica buddista –, si ripropongono come centro e approdo, costantemente perso e ritrovato.
Il rovesciamento, iniziato forse con quella che la stessa Giulia definisce la sua “discesa agli inferi” negli anni fra l’83 e l’85, sottolinea una consapevolezza della funzione della scrittura quanto mai distante dalla poetica spatoliana: citando Spatola, non “il testo come realtà, la pagina come realtà, la poesia come realtà”, non la presunzione di poter elaborare “la propria sofferenza con gli strumenti della poesia”, ma scrittura come illuminazione gentile di un cammino interiore; apertura, attraverso parole-immagini, di connessioni che disperdono l’io e lo decentrano giacché, dice Giulia “ventotto anni più tardi so con certezza a cosa serve pregare e meditare. / A provare di nuovo veri e propri / sentimenti, emozioni: l’incredulità e / la felicità della meraviglia, / la compiutezza della gioia, la non dualità della compassione, / la gratitudine dell’amore. / Sommate, danno beatitudine”.
La lingua di Giulia, attiva dal 1966 con numerose pubblicazioni in prosa e in poesia, dal romanzo Il grande angolo , nuovamente pubblicato nel 2014 , fino alla raccolta completa di tutte le poesie, Poemi & Oggetti , edita da Le Lettere nel 2012 , attraverso le deliziose edizioni TamTam e Geiger, Sinsong for new year’s Adam & Eve e Russky salad ballads & webster poems e la prima raccolta dei Frisbees (poesie da lanciare) nel 1994, non è dunque quella “scrittura barocco / balorda” nella quale si identificano “la frantumazione, l’alienazione, / la confusione”, ma piuttosto un sinuoso movimento che asseconda la libertà del narrare – e slitta incessantemente dal piano dei ricordi dell’infanzia e della giovinezza alle esperienze del presente, dalla riflessione sulla poesia alle immagini simboliche della pittura più amata (e qui ricordiamo i suoi bellissimi scritti sull’arte, Le due sponde. Spazio/tempo-oriente/occidente, pubblicati da Archinto nel 2006).
Un inarrestabile e continuo decentramento percorre Foto & Frisbee lanciando interrogativi e ironia verso il lettore in quell’andirivieni fra senso e non senso che accompagna Niccolai dalle Russky salad ballads (valga per tutte la memorabile Harry’s Bar Ballad) e le fa superare, con quella grazia linguistica che costituisce la cifra particolare e costante della sua scrittura, gli scogli orribili della malattia e della vecchiaia: “Sempre a proposito del mettere / o non mettere il Pace maker, / la Dottoressa dice: parlo coi / dottori di sopra (il pronto Soccorso / è al primo piano), e anche con gli elettricisti (tecnologi del Pace Maker). / Peccato che non abbia ancora / il coraggio di chiamare ‘idraulici’ / i medici esperti di cuore e coronarie”.
Niccolai ci racconta, senza alcuna presunzione di esemplarità, sessant’anni di vita in cammino verso la compiutezza, l’accettazione e la compassione di sé, verso il riconoscimento del proprio percorso che è costituito, innanzitutto, dal riconoscimento di quel particolare, intimo, calore che solo il ritrovamento della propria lingua può dare – goccia rossa dell’esistere –, pioggia di meravigliosi frisbee che vengono lanciati verso chi legge in gioiosa comunicazione, segno distintivo della generazione, assai vitale, degli scrittori che esordirono negli anni Sessanta con molte speranze sul futuro della letteratura (e della politica e della cultura) e che ora, nella loro vecchiaia, continuano a testimoniare un’inesausta passione per la vita.
Recensione di Cetta Petrollo.
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