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Anno edizione: 2010
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Un bel libro, scritto come sempre da Franzen in maniera molto piacevole, anche se qualche volta in questo libro sconfina nel prolisso. Ottima commedia di costume che dipinge il capitalismo americano in maniera ironica. Bella la descrizione della relazione tra i due personaggi personaggi principali. Ho letto libri di Franzen migliori , ma anche questo direi che merita.
... tutt'altro Franzen: non sembra neppure lontanamente l'autore delle "Correzioni". A me non è piaciuto.
Un bel attacco concreto e coraggioso allo sfrenato capitalismo americano, una trama intrecciata disegnata superbamente. Lo consiglio caldamente nonostante la forse eccessiva prolissità di Franzen in alcune parti del romanzo.
Recensioni
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“Fuori, in Pleasant Avenue, non era più un giorno festivo ma un morto giovedì sera. Era una serata fresca, con un anticipo di rugiada nell’aria. Louis guidò alla massima velocità che osò raggiungere, e nella sua ubriachezza riuscì a cogliere un secondo ogni tre o quattro che passavano. Lontano, nella notte, il rumore spettrale delle sirene formava un cuscino sonoro su cui i pneumatici sembravano scivolare e rimbalzare come sci d’acqua. Poco più a est di Davis Square, la Civic si tuffò in un tunnel di black-out, in fondo al quale ruotavano dei lampeggianti blu. Due figure rischiarate soltanto dalle luminescenti nuvole urbane spingevano con tutte le loro forze quelli che sembravano cartoni di bevande alcoliche lungo una strada laterale”.
- Saccheggiatori! Erano saccheggiatori? Sì, erano saccheggiatori!
Che ve ne sembra dell’America?, titolava più di mezzo secolo fa i suoi indimenticabili racconti il primo dei minimalisti, se così possiamo osare definirlo, William Saroyan. Quando Vittorini tradusse questo scrittore e lo portò da noi cominciarono le fantasticherie sul più grande Paese del mondo, grande soprattutto perché regalava libertà a piene mani. Oggi la stessa domanda di Saroyan potrebbe essere trasferita al romanzo di Franzen, Forte movimento, che ci presenta un’America liberticida forse peggiore di quella presecessionista, un’America che esporta schiavitù a piene mani e di cui anche noi europei siamo vittime consenzienti.
Dovremmo essere allarmati dalla sincerità con cui Franzen descrive le miserie della ricchezza negli Stati Uniti, l’asservimento ai principi del profitto, tanto che persino i fenomeni naturali come i terremoti ne sembrano una diretta conseguenza. Invece camminando tra le macerie di una civiltà tecnologica avanzata, ma priva di contenuti veramente umanistici e, soprattutto, sfavorevole a che gli uomini, i cittadini, siano liberi, ma davvero liberi nel senso di essere in grado di rifiutare gli abbracci soffocanti del cosiddetto benessere, ci viene da considerare quanto sia normale quel malessere, quanto assomigli al nostro, anche se parecchio meno “progredito”, e quanto in fondo non risulti drammatico che persino i terremoti possano derivare da una sopraffazione posta in atto dalla strategia industriale; lo abbiamo voluto, anzi abbiamo preteso di disumanizzarci pur di avere la pancia sempre piena, e questo abbiamo avuto. In realtà l’assunto sismico è a dir poco fantasioso e sproporzionato, ma non lo è il contesto di violenze, morali e fisiche, che discendono direttamente da una valanga di speculazioni in caduta libera, tra le quali fa capolino, mimetizzandosi abilmente, anche quella letteraria.
Il minimalismo da citare, questa volta, è quello vero di Raymond Carver, che ha lasciato parecchie tracce nella prosa tersa e nei dialoghi iperrealisti di Franzen, ma pochissime della stringatezza simbolista del maestro del racconto breve, pregnante, essenziale. Sembra anche questo un uso industriale della letteratura, un modo americano di incorporare il buono per trarne profitto: nel nostro caso una narrazione di vasto respiro dentro cui fluiscono tutti i generi, dalla novella al thriller, dall’impegno ecologico all’esibizione della sessualità. Verrebbe da dire: strano, molto strano questo ricorso pretestuoso all’ostentazione corriva, perché Franzen è veramente bravo, non è affatto il solito prodotto di consumo scaricato in Italia dalla strapotenza degli agenti letterari americani.
Forte movimento è infatti un romanzo di solido impianto, arricchito da una scrittura dai toni flessibili e cangianti, vi compaiono personaggi molto ben concepiti sui vari piani della personalità, guardati con quella particolare ironia metafisica che li rende spontanei e imprevedibili nelle loro manifestazioni. Tuttavia è contaminato dal “forte movimento” sotterraneo di voler stupire che lo trascina in tante piccole cadute di gusto, di tono, di misura che spiacciono proprio perché evitabili. Descrizioni particolareggiate di atmosfere post-sbronza, post-coito, post-qualcosa diluiscono, interrompono e alla fine scaricano la tensione, prevaricando sulla storia quasi con un anelito saggistico che può lasciare disorientati ma, occorre presumerlo, può anche contribuire a creare una dimensione parallela del tempo che Franzen ci vuole far esplorare.
Infatti è questo un romanzo che segna il tempo e che ci avverte: attenzione, l’America di Saroyan e finita da un pezzo, non è più quel Paese che ha liberato i neri e ha accolto i resti di alcuni popoli sterminati (sterminando però a sua volta i pellerossa), è una nazione che sta decomponendosi al suo interno, e il vostro sfascio europeo è solo un accenno di tremore: tra poco potrebbe arrivare l’onda sismica che vi travolgerà definitivamente.
Basterà un’opera letteraria a salvarci?
A cura di Wuz.it
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