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Fori imperiali. Demolizioni e scavi. Fotografie 1924-1940 - copertina
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Fori imperiali. Demolizioni e scavi. Fotografie 1924-1940
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Fori imperiali. Demolizioni e scavi. Fotografie 1924-1940 - copertina
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Descrizione


Si tratta del primo dei cataloghi scientifici che costituiranno l'edizione completa del patrimonio fotografico del Museo di Roma, volta a documentare criticamente le trasformazioni edilizie e urbanistiche delle varie zone della capitale nel Novecento, per il beneficio di archeologi, studiosi e appassionati: quelle più eclatanti come la "spina" di Borgo, largo Argentina, via del Mare o le Mura e le porte urbiche, i ponti, ma anche i rioni più popolari. Due saggi introduttivi affrontano dal punto di vista tecnico-stilistico le campagne fotografiche del tempo e le inedite vedute in pittura delle medesime demolizioni d'epoca fascista. Fondamentali anche i testi che introducono topograficamente ai diversi Fori Imperiali per illustrare il patrimonio perduto, i singoli interventi e ritrovamenti "archeologici" - spiegandone il loro valore ideologico - documentati attraverso più di mille immagini di qualità compiutamente schedate.
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Dettagli

2007
23 ottobre 2007
564 p., ill. , Rilegato
9788837052645

Voce della critica

Roma non ha un Musée Carnavalet o un City Museum of London, cioè non ha un museo della città, come altre capitali europee: le ragioni sono molteplici ma non è questa la sede per trattarne. Vi è un museo comunale che, negli auspici, potrebbe diventare il luogo dove seguire i momenti salienti della storia della città: il Museo di Roma, che dal 1952 è ospitato a Palazzo Braschi. Inaugurato nel 1930 in un edificio di via dei Cerchi, per volontà dell'allora direttore delle Antichità e Belle Arti del Governatorato di Roma Antonio Muñoz, nei desideri di quest'ultimo il museo avrebbe dovuto essere (ricorda l'attuale direttrice Maria Elisa Tittoni nell'introduzione al volume) "l'urna delle dolci nostalgie, il rifugio della nostra anima sognante, l'oasi dove noi romani potremo andare a ricrearci lo spirito, tra le care piccole cose della vita che fu!". Chi oggi varcasse l'elegante androne di accesso e ascendesse alle sale attraverso il nobile scalone d'onore non troverebbe però grandi stimoli alla sua fantasia. Piuttosto il visitatore dovrebbe addentrarsi in passaggi più angusti e ambienti meno sontuosi per scoprire la vera Schatzkammer del Museo di Roma, l'Archivio fotografico, normalmente a disposizione degli studiosi, ora offerto a un vasto pubblico tramite pubblicazioni come questa dedicata alle demolizioni dei Fori imperiali.
L'Archivio fotografico comunale è formato dal fondo relativo alle demolizioni proveniente dalla Ripartizione X del Comune di Roma (già in possesso di immagini degli interventi urbanistici eseguiti dal 1870 al 1930), da lasciti e da acquisizioni mirate che il Museo di Roma ha favorito nel corso del tempo. Attraverso dagherrotipi, calotipi, lastre di vetro ecc. si può ricostruire una fisionomia della città negli aspetti pubblici e privati che ora possiamo scoprire sfogliando pubblicazioni di qualità eccellente come questa.
Con questo catalogo si dà avvio alla pubblicazione di ottantaquattro album che raccolgono la documentazione fotografica sui lavori di demolizione eseguiti tra il 1924 e il 1940 nelle aree dei Fori imperiali, alle pendici del Campidoglio, presso l'Area sacra di largo Argentina, lungo le Mura Aureliane, la via del Mare, il sepolcro degli Scipioni, il Circo Massimo, il colle Oppio, in alcuni rioni come Borgo e altri quartieri, a Ostia e Castel Fusano, senza risparmiare chiese, conventi, fontane e ville. Qui vengono pubblicate le fotografie degli interventi eseguiti nel complesso del Foro e dei Mercati di Traiano, nei Fori di Augusto, Cesare e Nerva. È singolare che queste immagini, in parte commissionate anche da Mussolini con lo scopo di raccoglierle "in grandi albums da dedicare eventualmente a qualche raro superstite nostalgico del cosiddetto colore locale", costituiscano oggi un documento che inchioda le operazioni di sventramento al loro carattere violento, arrogante nei confronti della memoria storica secondo una prassi che il fascismo, come ogni dittatura, applicò con disinvoltura massima: isolare i monumenti principali dell'antica Roma da tutte le stratificazioni urbanistiche successive, perché giganteggiassero "nella necessaria solitudine", come riporta Anita Margiotta nel saggio dedicato al fondo. In questo contributo la studiosa ripercorre la storia del fondo sulle demolizioni e offre un'interessante panoramica dell'evoluzione della fotografia ottocentesca legata a soggetti archeologici: da John Henry Parker, difensore di una fotografia realistica a James Anderson, Gustavo Eugenio Chauffourier e ai Fratelli D'Alessandri, propensi a sottolineare gli aspetti pittoreschi dei monumenti antichi. Si tratta di materiale utile per tracciare una storia della fotografia e dei suoi metodi attraverso il tempo: basti ricordare che l'uso della fotografia in ambito storico artistico ancora alla fine dell'Ottocento era molto raro; qui si ricorda come dagli anni venti-trenta, sia per le normative ministeriali sia per suggerimento di storici dell'arte come Roberto Longhi, questo strumento fu usato più frequentemente nella catalogazione di opere d'arte.
Nell'altro saggio introduttivo, Rossella Leone analizza un interessante gruppo di opere pittoriche eseguite all'epoca delle demolizioni. Giulio Aristide Sartorio, Odoardo Ferretti, Pio Bottoni, Maria Barosso, Giovanni Omiccioli, per citarne alcuni, si ispirarono alla distruzioni per la mostra a tema Roma che sparisce, organizzata da Muñoz nel 1927, concepita in continuità con gli acquarelli dedicati da Roesler Franz alla Roma sparita. Muñoz riteneva che le fotografie potessero solo restituire "l'aspetto esteriore delle cose, ma non colgono la loro anima". Si sbagliava: la fiacchezza di questi dipinti mai eguaglia la vitalità del realismo delle immagini fotografiche. Leone ci informa inoltre che il Museo di Roma ha proseguito la sua politica di acquisizioni di opere di Donghi, Mafai, Francalancia e altri dedicate ad analoghi soggetti.
La catalogazione delle immagini è curata da Angela Maria D'Amelio per i fori di Augusto e di Cesare e da Fabio Betti per il complesso del Foro e della basilica traianei e per il Foro di Nerva. D'Amelio introduce con cura le vicende degli interventi che portarono alla rimozione delle stratificazioni sovrappostisi al Foro di Augusto a partire dal IX-X secolo e ai lavori di scavo e demolizione nel Foro di Cesare, iniziati nel 1931, fornendo alcune coordinate del dibattito suscitato da queste operazioni, tra approvazioni entusiaste del tempo e critica degli urbanisti e paesaggisti moderni come Italo Insolera e Antonio Cederna.
Fabio Betti ripercorre con competenza e sensibilità di medievista, in un saggio sintetico ma denso di informazioni, le vicende dell'area del Foro di Traiano, un caso di grande interesse per il tema delle demolizioni e dell'isolamento dei monumenti, dato che alcuni lavori di sistemazione con relativi abbattimenti di edifici preesistenti risalgono alla prima metà del XVI secolo. Analogamente per il Foro di Nerva, Betti richiama le prime esplorazioni dovute a Rodolfo Lanciani e poi ripercorre la serie di interventi che interessarono l'area dal 1926.
Questo volume ha la forza e la gravitas che, probabilmente, nessun saggio di storia dell'archeologia o dell'urbanistica potrebbero eguagliare. Sfogliandolo attentamente si è colpiti, talvolta stupiti, affascinati, si rimane senza parole di fronte all'immane cancellazione della stratificazione storica di Roma operata in circa venti anni. Nonostante la maggiore sottigliezza dell'analisi storica con cui oggi dobbiamo valutare le responsabilità di figure come Antonio Muñoz (si veda il saggio di Fabio Betti sul "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", 2006, XX) e degli interventi stessi alla luce della mentalità diffusa dell'epoca, molto meno sensibile della nostra, la mistificazione della storia perseguita dal regime e da Mussolini in prima persona fu così devastante da lasciarne pochissimi argomenti a difesa.
Non avrebbe senso segnalare una o più fotografie, ognuna è un tassello imperdibile di un grande mosaico, ma indico la mia preferita, la n. 3.74, scattata da Michele Valentino Calderisi nel Foro di Cesare: quei frammenti di terracotte tutte allineate su un tavolaccio, come strumenti chirurgici – che ricordano anche i lacerti dell'archeologia moderna raccolti dall'artista americano Tony Craig e disposti con cura su fragili scaffali – nella loro apparente poesia sono in realtà un atto d'accusa su come gli oggetti privi del loro contesto non hanno quasi nessun valore. Estetica versus storia: sarebbero occorsi quasi cinquant'anni all'archeologia italiana per ribaltare questo principio.
Marcello Barbanera

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