È possibile contemplare l'intero mondo vivente e le trame piccole e grandi che legano tra loro piante, animali, acqua e luce standosene comodamente seduti su un masso a guardare una porzione di suolo di una foresta grande come un metro quadro? Secondo il naturalista di origini britanniche e docente di biologia in un'università del Tennesee, David George Haskell, la risposta è senza dubbio affermativa. Nel suo saggio La foresta nascosta ci racconta proprio l'evoluzione animata di questo particolare microcosmo nell'arco di un anno, con il suo susseguirsi di attori animali e vegetali e le loro singolarissime storie. Nel breve spazio del cerchio tracciato per terra, si alternano le gesta di chiocciole, salamandre, semi, felci, muschi ma anche il freddo, il vento e la luce danno voce a dei monologhi. Scienziato di professione, sia di campo che di laboratorio, Haskell si muove con la velocità di uno scoiattolo tanto nel descrivere il comportamento osservabile di una salamandra quanto quello microscopico con cui agisce la molecola responsabile del flash di una lucciola: in lui convivono perfettamente lo spirito del naturalista di campo con quello proprio del biologo. Questa capacità di saltare da una scala all'altra, dal visibile all'invisibile nel tentativo di far cogliere ogni possibile aspetto del mondo vivente insito in un metro quadro di natura, nel breve volgere di poche frasi, è sicuramente il tratto più interessante che emerge dal libro. Nelle sue parole trova piena ragione la famosa massima di Plinio: Naturae maxima miranda in minimis. In qualche occasione il "salto" da un ramo all'altro non avviene dolcemente e il ritmo narrativo ne risente, un po' come se il maestro dopo averci portato a vedere il giardino con i fiori ci dicesse: "bene adesso torniamo in classe che vi spiego la fotosintesi", ma nella maggior parte delle storie la scrittura è di grande e sicura efficacia. C'è poi un secondo tratto di cui merita parlare, in cui non tutti i lettori si ritroveranno, la soffusa filosofia sottesa in ogni capitolo, quel modo di guardare al mondo naturale che sconfina nella meditazione e che fa subito pensare a Henry David Thoureau e al suo Walden ovvero vita nei boschi. Lo si capisce fin dalle prime righe, quando Haskell paragona il suo lembo di terra a un mandala, cerchio in cui i monaci tibetani compongono disegni con sabbie colorate, esercizi artistico-meditativi che consentirebbero loro di prendere visione, da quella piccola finestra, di niente meno che l'intero universo e la sua storia. Questo preambolo, più che a stormire di fronde e zampettare di millepiedi rimanda a suoni di gong e profumi d'incenso, a un rapporto con la natura anche mistico e non solo limitato al suo semplice studio e osservazione. Questa, anche se non immediata, è la chiave di lettura del mondo naturale che Haskell suggerisce: l'osservatore non dovrebbe porsi al di fuori con la sua lente, con il suo sguardo meramente analitico; egli è parte del tutto e quindi il suo approccio deve cogliere il più possibile le relazioni tra gli elementi a tutte le scale dimensionali, come vuole il paradigma di quella scienza definita appunto olistica. Matteo Sturani
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