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Dario Voltolini ha sempre osservato il reale con uno sguardo che potremmo definire settecentesco, in cui la limpidezza della visione e lo stupore di fronte alle cose si uniscono a uno spirito di indagine scientifica, un tentativo di comprensione delle meccaniche misteriose che reggono la nostra vita e l'universo. Propizi al suo talento sono i racconti, le narrazioni brevi, i poemetti quali il magnifico Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia (Fandango, 2006): forme, insomma, in cui possono balenare le sue osservazioni fulminanti, la meraviglia di fronte a improvvise epifanie, la sincera compassione per le difficoltà umane.
Nei tre racconti di questo libro, il cui titolo coglie una dimensione esistenziale consona all'autore (quella dell'eccezione, dell'inconsueto, dello scarto dalla prigione quotidiana), si mostra un'ulteriore prospettiva, che appare con evidenza: l'irresistibile richiamo della digressione, l'ennesimo foravìa rispetto ai cardini prevedibili del narrare, la tentazione frequente dello sguardo di fuggire da ogni parte, di non trascurare nulla, e di inseguire senza risparmio la più piccola illuminazione, visione, o ricordo, coinvolgendo il lettore in questa rincorsa, fra le proprie minime private ossessioni come fra la molteplice meraviglia del creato. Lo sguardo è prensile, la mente si muove senza sosta tra il passato e l'istante, ogni momento è foriero di un'osservazione, una sorpresa, una commozione, un ricordo: i minimi aspetti del vivere sono investiti così di una luce intensissima, ogni gesto, ogni emozione sono realmente unici e irripetibili, l'intera vita si nobilita, pur nei suoi aspetti più impercettibili o trascurabili, nelle sue sostanze più neglette e dimenticate. Così, nel primo racconto, che dà titolo al libro, il tentativo di fissare e ricordare una singolare avventura di molti anni prima si biforca in continui ricordi e rimpianti, in un costante corpo a corpo con il passato e con il fragile significato di singoli istanti, gesti, sensazioni, stupori: quasi che il ricordare fosse un proficuo esercizio per rivedere minimi eventi della propria vita, e scorgerne il senso alla luce del presente, la grana tenace delle emozioni e tutta la geometria futura generata da un singolo gesto senza peso. Il secondo racconto, Fabio, già apparso autonomamente nei "Chicchi" dell'editore Manni, narra dello strano rapporto instaurato con un ragno gigantesco apparso improvvisamente in casa e dell'odissea compiuta attraverso istituti e facoltà per poterne conoscere l'origine, sino al necessario e doloroso commiato. Il terzo racconto, Elisabeth, mostra con perfetta, tesa evidenza, la nudità dell'esistere, il compiuto squallore di cose e vite, l'apparente sfacelo di un destino senza salvezza: e mostra anche, come in un racconto tolstoiano, il potere dell'umana resistenza, compassione, volontà di non cedere al fato. Perché la pura comprensione delle cose, delle leggi umane e naturali, pur preziosa, non sarebbe nulla senza quell'asciutta moralità, quella compassione umana che distinguono gli individui, e che spirano con silenziosa energia da queste pagine. Giovanni Catelli
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