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La ridotta attenzione del Pascoli ai fenomeni dell’industrialismo e del macchinismo è un dato di fatto difficile da contestare. Ma altrettanto incontestabile risulta, a percorrere non distrattamente il corpus pascoliano, l’interesse dei testi che s’intrattengono su quei fenomeni, si tratti di componimenti in versi o di quegli interventi in prosa che chiamano l’artista ad un più ragionato confronto con la modernità. Nell’applicarsi alle pagine in questione i saggi che formano il volume puntano, più che ad analizzarle separatamente, a cogliere la filosofia che le accomuna; a tale filosofia additano nel tentativo di riportare il nuovo al noto, la modernità tecnologica ed industriale ai rassicuranti orizzonti del premoderno, che nel caso discusso in questa sede si popolano delle ingombranti liturgie familiari e tribali ben note ai lettori del Pascoli. Culmine del fenomeno, il trattamento del nuovo non soltanto come appendice del tradizionale ma anche come suo efficiente tutore, come garante del suo stesso sopravvivere in un’epoca d’incalzante revisione della antiche certezze e sicurezze.
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