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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2015
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Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Questo libro è un discorso metaletterario sull'autorialità che, se non l'avessi in programma per un esame, non avrei mai letto.
Un libro piuttosto noioso che vuol dire cose "filosofiche" in una cornice da romanzo, e fallisce entrambi gli obiettivi. Se l'argomento fosse stato la percezione della schiavitù da parte degli schiavizzati, diciamo guardare con il loro sguardo, il libro avrebbe potuto essere interessantissimo e davvero nuovo (pensa te, nuovo di questi tempi!) ma qui non si va oltre la manfrina meta-letteraria. Un premio nobel?
il bello di questo libro è proprio la sua enigmaticità.. non è certo un romanzetto da intrattenimento, va riflettuto a lungo. il finale così incomprensibile è lo scopo di coetzee, che vuole che mettiamo in moto il nostro cervello e interpretiamo a modo nostro la sua scrittura. cmq mette a fuoco molti problemi sul mestiere dello scrittore e sul colonialismo.
Recensioni
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“Così iniziai a capire che esortare Cruso a mettersi in salvo era fiato sprecato. Invecchiare nel regno della sua isola senza nessuno a dirgli mai di no aveva circoscritto il suo orizzonte a tal punto – per quanto l’orizzonte intorno a noi fosse vasto e maestoso! – che Cruso era ormai persuaso di sapere tutto del mondo. E poi, come scoprii più tardi, era scemato in lui il desiderio di fuggire. Il suo cuore era determinato a rimanere fino al giorno della sua morte sovrano di quel minuscolo reame.”
Dev’essere divertente per un “mastro scrittore” come Coetzee prendere spunto da un capolavoro della letteratura per ricreare una storia riprendendone vari fili più o meno sospesi e intrecciando con questi nuove trame. Dev’essere divertente perché l’hanno fatto in molti, riuscendo spesso a dare vita a un diverso, autonomo romanzo, pur lasciando intendere tutte le ispirazioni alla base del nuovo racconto. L’hanno fatto Bjorn Larsson con il suo La vera storia del pirata Long John Silver, dall’Isola del Tesoro di Stevenson, Marcela Serrano con Arrivederci Piccole Donne dalla storia di Louisa Alcott o Isabel Allende con il recentissimo Zorro, per citarne solo alcuni.
Il divertimento ora è dello scrittore sudafricano J. M. Coetzee, Premio Nobel per la letteratura nel 2003, grande narratore, abile costruttore di scenari, attento osservatore della natura, del paesaggio, degli animali.
Foe è un romanzo datato 1986, dunque non fa parte della produzione più recente dell’autore, ma contiene tutti gli elementi che costituiscono la struttura dell’intera sua creazione narrativa: la descrizione sistematica e profonda dei personaggi, la fatica esistenziale dei protagonisti e l’attenzione che questi dimostrano nei confronti della sofferenza altrui, la natura amica-nemica, la civiltà ingabbiante e la voglia di sfuggirle, la passione viscerale per la scrittura.
Nessuna storia meglio del Robinson Crusoe di De Foe poteva incarnare queste componenti ed è proprio da questo romanzo d’avventura, di libertà e di sopravvivenza che parte la storia di Coetzee, che sceglie di aggiungere alle due figure maschili dei protagonisti storici, Cruso appunto e Venerdì, una femminile, Susan la quale, vagando alla ricerca della figlia rapita due anni prima da un inglese, approda fortunosamente sull’isola in cui i due vivono. Venerdì è un servitore di colore a cui qualcuno (forse lo stesso Cruso?) ha mozzato la lingua, Cruso è un uomo bianco di una sessantina d’anni con occhi verdi e capelli color paglia che abita in una capanna di pali e giunchi. Un Cruso padrone, accentratore, scostante, anche un po’ misogino seppur con naturali pulsioni verso l’altro sesso che tuttavia riesce quasi sempre a dominare; un uomo che non tiene un diario perché pensa che non vi sia nulla da ricordare o da raccontare agli altri e che crede che l’unica, più che sufficiente testimonianza del suo passaggio sull’isola siano i terrazzi e i muretti costruiti: un naufrago nell’intimo. Un Cruso malato e destinato alla morte (con cui si chiude la prima parte del romanzo) che trova nei suoi ultimi giorni il sincero affetto di Susan, persona intelligente, ironica, attenta: una figura positiva (forse un alter ego dello stesso Coetzee) che, non credo a caso, lo scrittore fa impersonare a una donna (ricordate la sua Elizabeth Costello?). È lei a portare in salvo Venerdì, che altrimenti sarebbe rimasto completamente abbandonato sull’isola deserta in balia degli eventi, è lei a raccogliere le memorie di quell’esperienza e a interpellare il signor Foe, scrittore di professione, perché da quel racconto faccia nascere una storia importante, degna di essere ricordata, che renda immortali i protagonisti. Che poi questo conduca la sua vita in una direzione nuova, che dia origine all’illusoria possibilità di liberare definitivamente Venerdì rimandandolo alla sua terra d’origine in Africa e che sia l’inizio di un rapporto intellettuale e personale tra la donna e Foe basato inizialmente sul senso e sul valore della scrittura, per dilatarsi poi verso il significato dell’esistenza e il valore della testimonianza strettamente legata all’importanza e al peso del silenzio angoscioso e obbligatorio di Venerdì, è storia da leggere e che non è bene riassumere troppo.
Un’ultima notazione: peccato che non sia “obbligatorio” indicare tra i copyright anche quello dell’edizione originale italiana. Chi acquista il volume non sa che questo è già stato pubblicato nel 1987 in Italia, per i tipi Rizzoli, e l’anno successivo riproposto nel circuito Euroclub, in entrambe le edizioni nella versione di Gianni Pilone Colombo. Ora ne è stata fatta un’altra traduzione, firmata Franca Cavagnoli, e l’Einaudi edita il volume nella collana prestigiosa dei Supercoralli, rendendo così interessante l’acquisto anche per chi avesse già letto il romanzo in precedenza: perché dunque non citare il percorso storico del testo?
A cura di Wuz.it
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