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«I suoi Si bemolle, Do e Re acuti avevano qualcosa in comune con King Kong che si arrampica sulla guglia dell’Empire State Building appena ultimato.»
Davvero Piemme non poteva trovare collana migliore delle “Voci” per questa biografia. Si tratta, nello specifico, di quella del soprano Florence Foster Jenkins, scritta Nicholas Martin e Jasper Rees. Da questa tra l’altro è stato tratto il film con Hugh Grant (nella parte di St Clair Bayfield, che visse con lei more uxorio per diversi anni) e con una strepitosa Meryl Streep. Come strepitosa, dopotutto, era anche lei: la ricchissima, affascinantissima e stonatissima Florence, ereditiera e animatrice dei circoli musicali newyorkesi a partire dai primi del Novecento. Un palato musicale eccezionale, capace di scovare e supportare alcuni dei più importanti talenti della sua epoca (ricordiamo, ad esempio, che al suo Verdi Club furono iscritti sia Caruso che Toscanini). Peccato solo che il suo orecchio, durante le proprie esibizioni, non fosse altrettanto eccezionale: pur con la frequentazione di grandi scuole di musica e innumerevoli lezioni private, Madame Florence non fu in grado di azzeccare una sola, singola nota nella sua intera carriera musicale.
Ora, la domanda è questa: possibile che non se ne accorgesse? Possibile che davvero non sentisse lo strazio con cui deturpava le migliori arie di Verdi e Wagner, mentre riduceva Rubinstein in una gara allo strillo più acuto? E che dire poi dell’incredibile registrazione di Der Hölle Rache, l’aria della Regina della Notte del Flauto magico di Mozart, capace di spaventare persino i soprani più esperti? Era davvero così cieca (e sorda) da scambiare fischi e risate sguaiate per incontenibile ammirazione?
Il fatto è che, a partire dal compagno St Clair fino a ogni singolo dei suoi protetti, nessuno osò mai dirle niente. Dopotutto, lei viveva di quell’ammirazione. E infatti, quando le stroncature giunsero, dopo l’esibizione del 25 ottobre alla Carnegie Hall (la più grande sala concerti americana dell’epoca), il colpo fu tale da portarla alla morte nel giro di poche settimane.
La cosa non fu poi così incredibile. Aveva già una certa età e, nonostante tutto, la vita non era stata troppo tenera con lei. La sua infanzia era stata severa e povera di attenzioni, specialmente dopo la morte della sorellina Lily; a 15 anni era scappata per sposarsi con un uomo, Frank Thorton Jenkins, che aveva il doppio dei suoi anni e che molto probabilmente le trasmise la sifilide (il mercurio con cui fu costretta curarsi la rese completamente calva e forse le provocò il tinnito, una pesante alterazione nella percezione dei suoni); i contatti con la famiglia ripresero solo molto tempo dopo, ma ebbe sempre paura, se non terrore, di essere stata esclusa dal testamento del padre; e poi ancora ci furono lo scandalo legato proprio a quel testamento, quasi magicamente scomparso, e quelli seguiti all’omicidio avvenuto in seno alla famiglia del marito e al matrimonio decisamente fallimentare.
Materia da romanzo, si direbbe. E in effetti la vita di Madame appare un po’ romanzata nel film (il che è normale: è un film), ma non lo è assolutamente in questo libro. Solo fatti e qualche ipotesi, ma nulla di particolarmente audace. Perché non si tratta appunto di un romanzo, ma di una biografia che con precisione e a volte con un po’ di crudeltà svela le ombre di una vita apparentemente scintillante. E anche con paziente documentazione, viste le innumerevoli infiorettature con cui Florence era solita smussare qualche suo piccolo difettuccio. Il tutto condito da una punta di ironia very british, per una piacevole conversazione (a volte un po’ mondana e irriverente, come capita sempre quando ci si occupa degli affari altrui) su una donna che forse non riuscì a cantare con la voce degli angeli, ma che, come amava definirsi, fu davvero un “angelo dell’ispirazione”.
Recensione di Elena Malvica
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