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Anno edizione: 2020
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L'unica cosa di cui si può esser certi riguardo a Willie Nelson, è l'età anagrafica, che segna 87 candeline. Se invece andiamo a metter mano alla discografia, fra dischi in studio, dal vivo, raccolte e collaborazioni, ci si perde. Questo dovrebbe essere il disco numero settanta, contando tutti quelli incisi in studio, ma chissà. Sicuramente è il sedicesimo lavoro negli ultimi dieci anni: una media pazzesca, anche considerando la qualità, sempre molto alta. Lui e Buddy Cannon, il produttore (e anche musicista in "First Rose Of Spring"), sono ormai coppia inossidabile e così sarà, immagino, fino alla fine dei giorni. Accompagnato da una copertina brutta, pacchiana, questo nuovo lavoro vede Willie fare quello che sa fare meglio (ma in realtà è eccellente in quasi ogni genere che ha sperimentato), ovvero del purissimo country, accompagnato da una band discreta e ottima, con musicisti fedelissimi (Mickey Raphael all'armonica, per esempio) e una pianista, Catherine Marx, davvero eccellente. "First Rose" è un disco rilassato, bello, cantato con voce ancora perfetta, (solo qualche piccola crepa qui e là), dove Willie incide due nuove canzoni sue (e di Cannon), e gemme poco conosciute, anche del country degli anni cinquanta, spaziando e arrivando a brani "outlaw", come nel bellissimo pezzo di Wayne Kemp, "I'm The Only Hell My Mama Ever Raised", o nella commovente "Yesterday When I Was Young", messa alla fine e addirittura di Charles Aznavour. Ma Willie è Willie e fa diventare ogni pezzo suo, e senza strafare, senza cercare nulla di sensazionale, porta a termine un disco che in quaranta minuti sistema tutto il country attuale. C'è del mestiere, certo, ed è anche ovvio, ma c'è anche tanta grande musica: se Dylan rischia e sorprende (o delude, dipende dai punti di vista), Willie con dieci anni di più sul groppone, fa solo quello che sa fare e non delude mai.
Recensioni
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