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Firenze e il profeta. Dante fra teologia e politica -  Elisa Brilli - copertina
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Firenze e il profeta. Dante fra teologia e politica -  Elisa Brilli - copertina

Descrizione


Il nesso che stringe Dante a Firenze, oltre che nodo biografico spinoso e in parte irrisolto, è una risorsa primaria della Commedia da comprendere alla luce della tradizione culturale medievale. La riscrittura della storia moderna di Firenze nel poema risponde a parametri esemplari condizionati, pur nell'allontanamento, dal patrimonio memoriale cittadino, come dimostra il confronto serrato con la produzione cronachistica pre-villaniana. Di contro ad ogni presunto realismo, questo libro invita a leggere la Firenze dantesca come attualizzazione del paradigma medievale della civitas diaboli e insieme gli assestamenti di questa rappresentazione e delle "autobiografie" di Dante come l'indice dell'assunzione della fisionomia profetica da parte dell'autore del poema. "Firenze e il profeta" offre una visione dinamica della riflessione di Dante sulla sua città natale ma costituisce anche, resistendo al fascino delle ricostruzioni teleologiche, un osservatorio privilegiato sulle tensioni che attraversano globalmente la speculazione teologica e politica dantesca.
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Dettagli

2012
18 ottobre 2012
383 p., Brossura
9788843066568
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Indice

Abbreviazioni

Prologo. Per una comprensione storica della Firenze dantesca

1. La storia di Firenze secondo la Commedia

I parametri del realismo fiorentino/Tre variabili per un secolo di storia fiorentina/“Dignità” esemplare e memoria cittadina/Alla ricerca dell’origine della crisi fiorentina
Excursus
I. Un corollario: dalla presunta metanoia ai modelli bifronti

2. La civitas diaboli sub specie Florentiae

Quale «teoria ampia e negativa» della storia fiorentina?/La «confusion de le persone» (Pd XVI 67)/... e la civitas confusionis (I): una Babele fiorentina fra partes e artes (DVE I vi 5-vii 8)/... e la civitas confusionis (II): le epistole della stagione arrighiana/Firenze e Sodoma/La rotta di Montaperti e gli exempla di superbia punita (Pg XI-XII)/L’anti Roma/L’altra Roma/Campi metaforici e figurali (I): il corpo malato/Campi metaforici e figurali (II): la femminilità/Campi metaforici e figurali (III): l’isotopia infernale/La «teoria» cacciaguidiana: la civitas diaboli e il saeculum
Excursus
II. Dante e Agostino: «A denti stretti»?
Note sull’anti-agostinismo politico di Dante

3. Il profeta sub specie Dantis

La centralità di Firenze/Florentinus et exul inmeritus/ Le radici boeziane dell’autobiografia fiorentina/ L’innesto profetico e l’“anteriorità” di Firenze/Il senso della persecuzione e l’obbligo della parola/Il profeta, la civitas diaboli e la redenzione del particolare/La doppia autobiografia: Firenze e Beatrice/Le condizioni testuali dell’armonizzazione/Le condizioni culturali dell’armonizzazione

Epilogo. Armonie e dissonanze fra teologia e politica

Indici

Recensioni

Voce della critica

Se, con Aristotele, al poeta spetta di rappresentare "ciò che può accadere, sulla base di ciò che è verosimile e necessario" (Poet. 1451 a 36-37, un passo quasi certamente ignoto a Dante), la parabola di vita e di poesia dell'esule fiorentino costituì senza dubbio una clamorosa dimostrazione del primato che la letteratura esercita nell'unire sotto le forme della creazione l'universale e il particolare. La ricerca di Elisa Brilli mostra con passione ed efficacia come Dante abbia tenacemente perseguito in tutta la sua opera, sotto l'urgenza di una vicenda esistenziale travagliata, ma ai suoi tempi certamente non eccezionale (quella di bandito dalla propria città), la valorizzazione di un destino personale in una missione universale. Il percorso attraverso cui la poesia si fa politica, in Dante, è teologico, poiché politico è il trauma che fa della sua vita un'esperienza figurale, un'eccezione che può essere interpretata in termini universali. Colpito in modo indelebile dal suo stesso essere fiorentino, Dante fa di Firenze, civitas diaboli, una figura del male che abita il mondo e di se stesso un profeta che parla in nome della redenzione di tutti. Lo sforzo mitopoietico è tale da indurre nel modo dantesco un'oltranza, per dirla con Gennaro Sasso, che forza costantemente la norma artistica nel momento stesso in cui la padroneggia in tutte le sue forme codificate: nel poema come nel trattato, nel commento e nell'elegia come nel genere epistolare e nel carme bucolico. Merito dello scavo ermeneutico di Brilli è di investigare ancora una volta il problema del realismo di Dante nei termini nuovi del "realismo fiorentino", cioè dal punto di vista del suo rapporto con la propria origine geografica e storica. Nato a Firenze ("al modo del dativo etico, non del locativo"), ma costretto a divenire abitante del mondo, come i pesci abitano il mare (De vulg. el. I VI 3), Dante reinterpreta questo mondo come una grande Firenze, in cui la caterva degli empi spadroneggia, ma non potrà alla fine prevalere. Dalla condizione emarginata dell'esule si fa esiliante (Pierre Blanc), pellegrino in questo mondo, ma soprattutto nell'altro, così come Boezio nella Consolazione da carcerato, grazie a Filosofia, si eleva alla visione onnipresenziale di Dio, che tutto vede così com'è, è stato e sarà. Dante è profeta dunque non tanto di ciò che sarà, ma di ciò che è, in grado di svelare la verità di ciò che è reale attraverso l'investitura della sua milizia umana e cristiana, ottenuta per il martirio politico e per l'ascesi intellettuale e morale. I modelli sono da un lato Agostino, che fornisce il paradigma della storia come conflitto delle due città (e per il quale ogni individuo è sempre straniero in patria), e dall'altro Boezio, ma dietro di lui soprattutto Aristotele, che indica nell'intelletto ciò che c'è di divino nell'essere umano. Nel tenere insieme Agostino e Aristotele sta e cade il realismo di Dante, che vive secondo Brilli di questa armonia e dissonanza, così difficile da sostenere al nostro orecchio moderno. Attraverso la sua analisi, l'autrice si lascia indietro quell'ipoteca storicista che tanto ha condizionato e condiziona le fatiche dei dantisti, specialmente italiani, e può felicemente accantonare l'immagine di un Dante rivoluzionario e innovatore nell'arte quanto conservatore, se non reazionario – o al più visionario e utopista – in politica. Il giudizio di Gramsci, a cui pareva "la dottrina politica di Dante (…) doversi ridurre a mero elemento della biografia di Dante", assume qui un significato ben più profondo e rovesciato: la politica è invece asse portante dell'autobiografia di Dante, della sua costruzione autoriale e della sua poetica, nel suo farsi profeta consiste precisamente la sua visone della storia e della società umana. Questo assunto si trova del resto confermato anche nell'unica opera dantesca in cui Firenze non viene convocata: nei prologhi ai tre libri della Monarchia Dante assume il ruolo del profeta proprio perché si pone come scienziato politico. E Beatrice? – si chiederà il lettore ‒ che ne è del cammino di redenzione e di salvezza indicato dalla Gentilissima nel poema sacro e in tutta l'opera dantesca? Brilli riconosce che l'autobiografia della conversione intitolata a Beatrice si compone in tensione dinamica e persino contraddttoria con l'autobiografia "fiorentina" nella Commedia. Se Beatrice è deuteragonista del poema sacro, Firenze è "seconda deuteragonista", portatrice di una diversa ma altrettanto potente motivazione che innerva la costruzione autoriale. Ma è forse compito dell'interprete risolvere le contraddizioni o non piuttosto quello di "interrogarsi sulla singolarità storico-antropologica" dell'autore e delle condizioni storiche, culturali e intertestuali di questa singolarità? Anche di questa discrezione ermeneutica siamo grati all'autrice. Andrea Tabarroni

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