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scheda di Niccolini, E., L'Indice 1998, n. 8
Prima pubblicazione italiana di Peter Waterhouse, a esclusione di alcuni testi usciti sulla rivista "Poesia", Fiori, curato da Camilla Miglio, è ahimè privo degli originali. Non si capisce perché al lettore venga negata la possibilità anche solo di sbirciare i versi in tedesco. L'originalità di certe immagini, semplici e dirette, apprezzabili nella versione italiana e capaci di scuotere l'emozione, non può essere valutata senza un confronto con l'originale, come per esempio nei due haiku: "Quanti / tremila anni / stanno stesi nella valle", e "Boschi / prima / che siano parole". Lo stesso discorso vale per le costruzioni linguistiche anomale, sintetizzate in parole composte attaccate l'una all'altra a formare una sola parola, che in italiano devono, per lo più, venir sciolte in una frase, perdendo così la loro pregnanza ritmica e semantica. Waterhouse, nato a Berlino nel 1956, cresciuto bilingue (tedesco e inglese), stabilitosi a Vienna da molti anni, passa ininterrottamente dalla poesia alla prosa, per ritornare poi dalla prosa al verso, attraversando anche altre scritture (ha tradotto, fra gli altri, Gerald Manley Hopkins, Biagio Marin, Andrea Zanzotto).In tale ininterrotto "continuum" linguistico, quel che sembra contare di più è l'attenzione verso le forme del reale: "Gruppo di alti palazzi / che io mi metto a guardare / con collo girevole", così come verso la struttura del quotidiano, che gli fa dire: "Attento voglio diventare. Si è silenziosi nei propri occhi". Un'attenzione, quella qui evocata, tutta austriaca che, a volte, ricorda Peter Handke, altre volte fa baluginare il culto stifteriano per le piccole cose. Qua e là, fra le righe, si scopre la tendenza a voler creare spazi sinestetici sulla pagina, come avviene per esempio con l'immagine degli "occhi selvaggi / tuttogusto, tuttorecchie", così come con "il pensiero è questione di tatto". L'avvicinamento ai fenomeni naturali sembra possibile solo attraverso la prospettiva luccicante dell'asfalto, in modo che anche lo sbocciare dei fiori è riprodotto in città: "Le pietrine dell'asfalto fioriscono. Minuscole, di quarzo, come riflettori". E in questo inno alla vita contemporanea, lo scrittore esprime il desiderio che la poesia invada ogni cosa: "Moltiplicazione dell'inquietudine del mondo. Che tutto diventi fiore, e noi sempre più inquieti. Le città sono mari di fiori".
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