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Non sono riuscita ad andare oltre pag.100:noioso,lento,pesante.Eppure avevo una grande aspettativa perché amo New York e quindi ero impaziente di leggere un libro con protagonista questa stupenda metropoli. Ma purtroppo mi sono trovata di fronte più ad una guida turistica piuttosto che a un romanzo. Bocciato.
Libro stupendo! offre ottimi scorci di una NY viva, vera, certo con i lati oscuri e negativi della metropoli e della tragedia dell'11 settembre, ma è un libro estremamente evocativo, intriso di arte, pittura, musica e ricco di sensazioni, impressioni e amore per una città piena di contraddizioni.
Non è assolutamnete il mio genere di libro, ma nemmeno di chi ha voglia di scoprire di New York una metropoli dai tanti misteri e dalle tante possibilità. E' una narrazione molto, e sottolineo molto malinconica della città con tanti richiami all'11 settembre e alla tristezza che puoi trovare ogni giorno guardando un senzatetto, gente per strada o le macerie delle torri gemelle. Senza dubbio scritto con un linguaggio dai termini difficili e poetici da una persona colta, ma indicato per chi sta cercando una buona dose di malinconia e poesia.
Recensioni
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Di Antonio Muñoz Molina (1956), autore di una vasta e originale opera in prosa che lo colloca tra i maggiori scrittori spagnoli dell'attualità, in Italia sono già apparsi diversi titoli, dal romanzo d'esordio Beatus ille (Passigli, 1999) al libro di viaggio La città dei califfi (Feltrinelli, 1996) fino a testi più recenti come il thriller Plenilunio o l'ambizioso e dolente Sefarad (Mondadori, 1998 e 2002), per citare solo qualche esempio. Membro della Reale accademia spagnola della lingua da più di un decennio, dal 2004 è direttore dell'Istituto Cervantes di New York.
E proprio alla metropoli americana è dedicato Finestre di Manhattan, splendido affresco dalle movenze liriche e appassionate della città letteraria per eccellenza. Ma non sono solo i rimandi libreschi DeLillo, Paul Auster o l'immaginario surrealista di García Lorca a nutrire la verve impressionistica che anima il monologo della voce narrante, bensì quelli che fanno dell'arte e della musica le vere protagoniste di questo viaggio nei meandri umani e culturali della città.
Benché fin dalla copertina dell'edizione italiana ci venga presentato come un romanzo, questo taccuino personalissimo non mostra in un solo momento la tentazione di trasfigurare o volgere in finzione i fatti registrati, che anzi ci vengono presentati attraverso una prosa che si muove tra l'oggettività di un reportage in piena regola e la morbida lentezza di un primo piano cinematografico. E dietro alla telecamera, o dietro alle numerose finestre di cui è costellato il libro, troviamo un narratore volutamente anonimo, ma non come licenza romanzesca o antireferenziale da parte dell'autore giacché non è affatto difficile riconoscerlo nell'immagine che di sé costruisce l'io narrante ma come metafora della peculiare condizione di anonimato in cui versa costantemente qualunque visitatore si aggiri per le strade di New York: "Chi aveva la tentazione, anche inconscia, di credersi qualcuno, qui ha modo di constatare, letteralmente, concretamente, che non è nessuno, che è un perfetto Don Nadie, un Signor Nessuno".
In effetti, la maggior parte dei personaggi che sfilano per gli ottantasette capitoli del libro, nonostante ci vengano descritti in modo assai dettagliato, rimangono tuttavia senza nome, a cominciare dalla donna amata dal narratore e che lo accompagna per qualche tratto del suo peregrinare, e a eccezione di alcune persone più o meno in vista appartenenti al circolo di intellettuali spagnoli frequentato da entrambi. Lo stesso trattamento viene riservato al tempo del racconto, indeterminato e sospeso nell'oscillazione tra due tappe cruciali: la prima volta in cui l'autore visitò New York nel 1991, e la seconda, dieci anni più tardi, proprio nel settembre del 2001. E la descrizione dei momenti successivi agli attentati alle Torri gemelle è puntualmente oggettiva, giornalistica, quasi fosse mediata da una certa reticenza, come se la voce narrante sentisse il bisogno di esternare le proprie sensazioni di fronte all'orrore vissuto così da vicino e al tempo stesso si negasse a farlo, ben cosciente del rischio di scadere in valutazioni retoriche e inadeguate. Tuttavia, la ricostruzione di quell'11 settembre occupa una porzione considerevole del libro, e, per quanto sia concentrata soprattutto nella parte iniziale, continua ad affiorare fino alle ultime battute, come un'ombra indelebile che incombe su qualunque altra vicenda raccontata dal protagonista: "E ognuno porta nascosta nell'anima la sua paura, personale e segreta come un peccato, la sensazione tagliente ma diffusa di pericolo, la consapevolezza attonita che una torre di acciaio e vetro, eretta su profonde fondamenta di cemento armato (
), in realtà è fragile come un castello di sabbia".
Eppure New York non si arresta, continua a scorrere e a cercare un ritorno alla normalità, così come il narratore che, nel suo vagabondare partecipe e insieme distante rispetto agli oggetti evocati ("Camminare è uno strumento di conoscenza e un modo di vivere, un esercizio permanente di avvicinamento e lontananza"), ci introduce in un perimetro urbano sfaccettato, che spazia dai tanti mercatini delle pulci di cui pullula Manhattan la domenica mattina ai negozi all'ingrosso di Chinatown fino agli angoli più remoti della città, dove lo sguardo si sofferma su un senza tetto intorpidito dal freddo o su un musicista di strada o anche soltanto su un foglio di giornale trascinato dal vento. Per arrivare a luoghi più o meno noti e consacrati, come i tanti musei visitati dal narratore, primo fra tutti il Metropolitan, "l'archivio del culto primitivo e plurale di tutte le immagini", che ci viene descritto in momenti diversi del libro, a piccole dosi, attraverso suggestioni estemporanee che accomunano i ritratti fotografici di Richard Avedon, gli interni dei quadri di Edward Hopper e le luci perlate di un dipinto di Vermeer. Ed è qui che le diverse vocazioni di Muñoz Molina, quella di storico dell'arte, di letterato, ma anche e soprattutto di giornalista, si fondono in modo impeccabile, dotando la narrazione di scorci eruditi eppure godibilissimi, accostati con estrema leggerezza all'evento quotidiano e insospettabilmente ricco di vita e di storia. A completare uno scenario tanto complesso, le reminiscenze jazzistiche del Greenwich Village, evocate a partire dai più svariati concerti scovati dall'autore, che ce li restituisce in presa diretta, facendo risuonare l'eco primordiale dei grandi del genere, dal sax vertiginoso di Charlie Parker a quello irruento di John Coltrane, passando per le calde tonalità di Ella Fitzgerald o Dinah Washington.
Natalia Cancellieri
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