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Anno edizione: 2013
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In genere le tematiche affrontare da Genna nelle sue opere mi interessano in maniera discontinua e seppur presenti in parte anche in questo Fine impero, quantomeno la prima e l'ultima parte di questo romanzo mi hanno soddisfatto in pieno. Ma quello che mi interessava maggiormente nell'approcciarmi a questo autore così particolare, era confrontarmi con il suo stile, la sua poetica, il suo linguaggio letterario che ritengo di altissimo livello. Una prosa che "suona" , poetica e musicale, come raramente mi è capitato di "ascoltare" in tanti scrittori contemporanei, un maestro che anche nelle frasi o nei periodi brevi, sa far vibrare armonicamente ed entrare in risonanza forma e contenuto, in elegante simbiosi.
Non è un romanzo sulla decadenza italiana, questo, perché fin troppo esplicito è il rinvio a forme di narrazione poetica, come indicano alcune suggestioni - che almeno io ho trovato sorprendenti -, come quelle dal recentemente scomparso Seamus Heaney di di "Station Island". È una traccia che rende molto coerente il percorso di Genna, un autore di cui si devono separare le gesta on line dai libri pubblicati. C'è da rilevare infatti una preponderanza poetica che gli altri narratori italiani si sognano, a parte forse Siti e Mari. Lo si capiva già dai libri di genere, ma da "Dies irae" in poi è stata una progressione inarrestabile. Genna secondo me rimane uno degli autori italiani più colti e spiazzanti. Mi sinto di consigliare questo racconto nerissimo a chi ama la letteratura contemporanea, che ha ancora senso leggere e difendere....
Romanzo mediocre. Genna dinanzi alla sfida data dalla rappresentazione della decadenza soccombe malamente. La prosa non afferra mai il tono giusto, forse presa dal rincorrere le suggestioni di una poetica intrisa dell'etica verso il vuoto piuttosto che dall'estetica del vuoto stesso. Certo spiace che autore tanto dotato in potenza e nei propositi, votato a scucirsi l'etichetta di scrittore di genere degli esordi, desideroso di lasciare un segno nella storia letteraria italiana, finisca per toppare quasi sempre la prova. Va detto infatti che non convinceva Hitler, enorme sforzo per una notarile replica biografica; non convinceva Italia de Profundis, intriso di inutili onanismi di stile, e ahimè neppure Dies Irae, connotato da una grandiosa intuizione massacrata da un eccesso di emulazione verso il postmodernismo e altri inutili personalismi e soliloqui.
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