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Anno edizione: 2005
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Questo é un ottimo Libro sulla Storia del Cinema!! Vale la pena di essere letto da tutti gli amanti del Grande Cinema.
Un viaggio nella e della memoria alla “Fine del primo tempo” del film, del Cinema, della nostra maturità. Un viaggio negli anni ruggenti e d’oro dell’arte dello spettacolo che sa tanto di nostalgico e sincero affetto, come quello provato per l’amore della nostra vita che, invecchiando, a poco a poco ci sta lasciando. Maurizio Porro, già autore de “Il cinema vuol dire”, “La Cineteca di Babele” e del recente (anche di contenuto e visione critica) “Mèlo”, storico critico del Corriere della Sera, ci conduce tramite un joyceano flusso di coscienza all’interno della sua infanzia e adolescenza, dove cinema serio e d’evasione, teatro di prosa, avanspettacolo, rivista erano tutte facce eguali per peso e qualità della stessa fabbrica di sogni ed idee che si rese responsabile di una sensibilissima crescita psico-culturale del pubblico del tempo. E così (ri)scopriamo i vari Cinema Paradiso scomparsi, le sale di prima-seconda-terza visione, le scricchiolanti sedie di legno e gli eleganti drappi di velluto rosso di altrettanti teatri e teatrini. E con loro la geniale meticolosità del Padre-Maestro del Piccolo Teatro, l’inesauribile fantasia e umanità dell’altro Maestro dell’arte sorella, nato in quel di Rimini e lì deposto a vegliare sulle anime dei suoi vitellonici e non compaesani. E con loro altri milioni (vince chi riesce a contarli) che facevano parte di quella grande famiglia che oggi, segno dei tempi, sembra essere un po’ troppo stretta, un po’ troppo allargata a seconda dei casi. Una dimostrazione, per giovani e vecchi sognatori, che si può fare della propria passione una professione. Per lettori attempati che vogliono riscoprire il proprio tempo perduto, perso nella vita, ma ritrovato nella memoria, nella sala cinematografica sempre più domestica, negli occhi di Bette Davis o nel sorriso di Marilyn. Per nuovi lettori cinefili che sperano solo in un’Antologia di SpoonRiver meta-cinematografica girata da Romero, dove però i morti sono molto più viventi degli zombie tele(assue)fatti che stiamo diventando oggi.
Un viaggio nella e della memoria alla “Fine del primo tempo” del film, del Cinema, della nostra maturità. Un viaggio negli anni ruggenti e d’oro dell’arte dello spettacolo che sa tanto di nostalgico e sincero affetto, come quello provato per l’amore della nostra vita che, invecchiando, a poco a poco ci sta lasciando. Maurizio Porro, già autore de “Il cinema vuol dire”, “La Cineteca di Babele” e del recente (anche di contenuto e visione critica) “Mèlo”, storico critico del Corriere della Sera, ci conduce tramite un joyceano flusso di coscienza all’interno della sua infanzia e adolescenza, dove cinema serio e d’evasione, teatro di prosa, avanspettacolo, rivista erano tutte facce eguali per peso e qualità della stessa fabbrica di sogni ed idee che si rese responsabile di una sensibilissima crescita psico-culturale del pubblico del tempo. E così (ri)scopriamo i vari Cinema Paradiso scomparsi, le sale di prima-seconda-terza visione, le scricchiolanti sedie di legno e gli eleganti drappi di velluto rosso di altrettanti teatri e teatrini. E con loro la geniale meticolosità del Padre-Maestro del Piccolo Teatro, l’inesauribile fantasia e umanità dell’altro Maestro dell’arte sorella, nato in quel di Rimini e lì deposto a vegliare sulle anime dei suoi vitellonici e non compaesani. E con loro altri milioni (vince chi riesce a contarli) che facevano parte di quella grande famiglia che oggi, segno dei tempi, sembra essere un po’ troppo stretta, un po’ troppo allargata a seconda dei casi. Una dimostrazione, per giovani e vecchi sognatori, che si può fare della propria passione una professione. Per lettori attempati che vogliono riscoprire il proprio tempo perduto, perso nella vita, ma ritrovato nella memoria, nella sala cinematografica sempre più domestica, negli occhi di Bette Davis o nel sorriso di Marilyn. Per nuovi lettori cinefili che sperano solo in un’Antologia di SpoonRiver meta-cinematografica girata da Romero, dove però i morti sono molto più viventi degli zombie tele(assue)fatti che stiamo diventando oggi.
Recensioni
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Nel 1999 Maurizio Porro pubblicò la prima e corposa parte del presente volume: un appassionato viaggio-ricordo nella settima arte e nel teatro della propria gioventù e poi degli anni successivi, quelli della formazione come giornalista e critico cinematografico. Nel 2005 l'autore ha aggiunto un'appendice allo scritto originario, in cui si concentra sui cambiamenti epocali che ha subito il cinema negli ultimi anni, così come sulla crisi, forse meno grave, che ha colpito il teatro. Ciò che colpisce nello scritto di Porro è il libero fluire di ricordi e riflessioni affidate a un racconto libero da gabbie precostituite, in cui si predilige dar libero spazio a impressioni e sensazioni piuttosto che a rigide operazioni intellettualistiche. È un po' come se l'autore avesse voglia di affidare alla penna gli stupori, gli umori, i sapori di un'epoca in cui la fruizione filmica faceva parte di un grande rito collettivo: quello di ritrovarsi in una sala buia, "nani di fronte al grande schermo", accanto a persone per la maggior sconosciute con cui si era scelto di condividere il piacere della visione cinematografica. Il critico del "Corriere della Sera" insiste sulla magica e potente capacità dei film di un tempo di "entrare" nella vita delle persone: "Il cinema lo si portava a casa, lo si ripensava, imitava, citava, classificava, lo si sistemava nella memoria su misura delle proprie emozioni".
La "magnifica ossessione" che ha contagiato milioni di spettatori dagli anni quaranta agli anni sessanta-settanta viene ricostruita dall'autore con la stessa vena nostalgica che attraversava il bel volume di Gianni Amelio (Einaudi, 2004; cfr. "L'Indice", 2004, n. 10), per il quale "chi non ha vissuto certi anni non può capire la dolcezza del cinema prima della rivoluzione (della videocassetta)". Quel cinema fatto di sale sotto casa o in periferia, come ricorda Porro, i cui schermi erano spesso attraversati da bambini che correvano vocianti durante gli intervalli; illuminati da "casuali e maledetti tagli di luce" provenienti dai pesanti tendaggi che non si chiudevano mai completamente; solcati da pesanti nuvole di fumo. "A qualunque ora si entrasse, il chiuso della sala rivelava un buon profumo di muffa e nicotina, di olezzi vari incrociatisi nel tempo (...) e nei locali rionali la mascherina o cassiera passava con uno spray tremendamente 'profumato', di fronte al quale bisognava tapparsi il naso". Accanto alla ricostruzione di un'atmosfera unica e irripetibile, Porro inanella una serie di flash e sensazioni legate a centinaia di film (e spettacoli teatrali) assaporati con immenso piacere, così come si sofferma a ricordare grandi registi di un tempo e celebrare alcuni talenti contemporanei.
Oggi però, sottolinea Porro, le cose sono radicalmente cambiate per il dilagare delle fiction televisive, dei film scaricati da internet, dei multiplex. La svolta, suggerisce l'autore, non può che essere affidata a luoghi di segno opposto, a piccole sale "speciali e specifiche" in grado di suscitare sentimenti di "appartenenza e comunanza, quasi ideologica, dove ogni scelta non appare casuale".
Sara Cortellazzo
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