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La finanza pubblica in Italia 1960-1992
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1993
Libro universitario
272 p.
9788815037657

Voce della critica

PESOLE, DINO, La vertigine del debito pubblico

MORCALDO, GIANCARLO, La finanza pubblica in Italia (1960-1992

FRANCO, DANIELE, L'espansione della spesa pubblica in Italia (1960-1990

BALDASSARRI, MARIO (A CURA DI) / MODIGLIANI, FRANCO (A CURA DI), Italia '93: dalla tempesta alla grande occasione
recensione di Vaccarino, G.L., L'Indice 1994, n. 9

Alcuni anni fa Alan S. Blinder, uno dei più brillanti economisti americani della nuova generazione, in un libro divulgativo ma di grande interesse anche per lo specialista, dedicato a un'impietosa critica della politica economica di Ronald Reagan (il libro è stato tradotto anche in italiano nelle edizioni de "II Sole-24 ore" con il titolo "La testa e il cuore"), enunciò una spiritosa "legge" empirica riguardo all'influenza degli economisti sulla politica. La "legge" dice, in sostanza, che quanto più sono tra loro d'accordo sull'analisi e sulle proposte, tanto meno gli economisti vengono ascoltati dai politici in carica e hanno influenza pratica; e viceversa quanto più le loro analisi e le loro proposte sono fragili e discutibili, e il disaccordo nella comunità scientifica è grande, tanto più essi ottengono ascolto dai politici, ed esercitano influenza pratica sulle scelte politiche. Questa seconda parte della "legge" ha anche un importantissimo "corollario", che dice testualmente: "quando vengono dati dei consigli economici in conflitto tra loro, verrà seguito solo il peggiore".
Le illustrazioni che Blinder faceva della sua "legge", e del suo "corollario", erano tutte tratte dalle politiche di bilancio e di finanza pubblica della destra neoliberista reaganiana. E dunque, ora che anche in Italia è finalmente salita al potere una nuova destra neoliberista, che in economia si dichiara seguace del neoliberismo americano e inglese degli anni ottanta, sembra legittimo domandarsi: noi pure dovremo patire le conseguenze del carattere "bronzeo" (come si diceva un tempo) della "legge" in questione, e segnatamente del suo terribile "corollario"? È un fatto che la politica del debito e del bilancio pubblico sia quanto mai controversa, e suscettibile quindi di dar luogo alle conseguenze del "corollario" di Blinder. E lo stesso discorso si può fare per gli effetti della politica di bilancio sulla politica monetaria e sui tassi di interesse. C'è forse solo una speranza di sfuggire alle conseguenze della "legge" e del "corollario" di Blinder: che i "consigli" degli economisti ai politici, anche se non in conflitto tra loro, siano tenuti in qualche conto, e che i politici della destra italiana restino assolutamente fedeli alle loro radici latine e italiane. Nei paesi latini, infatti, diversamente dai paesi protestanti, i programmi elettorali sui quali sono stati fatti i più solenni giuramenti molto raramente vengono tradotti in pratica, anche solo in parte.
Come che sia, la situazione economica dell'Italia di oggi, a differenza di quella degli Stati Uniti dell'inizio degli anni ottanta, non ha il minimo margine per tollerare, in particolare nel campo del bilancio pubblico, le fantasie della 'reaganomics' che ci sono state recentemente riproposte (riduzioni di imposte che si autofinanziano facendo aumentare il reddito, ecc.). Reagan, ereditando un bilancio pubblico sano, ha potuto permettersi di creare i più grandi disavanzi della storia americana senza andare incontro alla crisi finanziaria. Da noi, la crescita del debito pubblico, alimentata dalla spesa per interessi e dai disavanzi annuali, già da diversi anni segnala le condizioni di instabilità finanziaria, e nel settembre del '92 già si manifestarono tutti i sintomi della crisi finanziaria vera e propria, poi fortunatamente rientrata.
Questa, però, è soltanto una parte del discorso sull'attuale situazione economica italiana. Con l'uscita della lira dal Sistema Monetario Europeo (si veda in proposito il volume curato da Baldassarri e Modigliani) si è infatti creata un'occasione senza precedenti per portare a soluzione definitiva il problema dei conti pubblici ereditato dagli anni ottanta. Camminiamo in bilico, insomma, su una lama di rasoio. Da un lato, ci può essere il salto nel buio della crisi finanziaria. Se nei mercati si diffondesse la convinzione che in tema di bilancio pubblico la Seconda Repubblica intende riprendere, esaltandole, le peggiori abitudini della prima; se i tassi di interesse ricominciassero stabilmente a salire (l'aumento di un punto comporta un onere aggiuntivo sul bilancio intorno ai quindicimila miliardi) come purtroppo sta avvenendo; se in particolare si ristabilisse stabilmente un differenziale sui tassi esteri (determinato dal tasso di deprezzamento atteso della lira, più il premio per il "rischio politico"), in un mercato finanziario aperto e fortemente integrato sul piano internazionale si creerebbero tutte le condizioni per la fuga dalle attività finanziarie denominate in lire. La prova generale, come s'è detto, è già stata fatta nell'estate-autunno del '92. A seconda della linea di difesa adottata dalla Banca d'Italia questo fatto potrebbe a sua volta aprire le porte a un'esplosione inflazionistica, e/o a un'impennata dei tassi di interesse che metterebbe in crisi l'attività produttiva. E lo sbocco finale, con tutta probabilità, sarebbe un'affannosa operazione di "finanza straordinaria" condotta nelle condizioni peggiori: il cosiddetto "consolidamento" più o meno forzoso del debito pubblico (riduzione del suo valore nominale, allungamento delle scadenze dei rimborsi con un tasso di interesse reale minimo, trasformazione dei titoli in quote di proprietà del patrimonio pubblico ecc.).
Dall'altra parte stanno invece le inedite e favorevoli condizioni per il risanamento dei conti pubblici che si sono fortunosamente create in conseguenza dell'uscita della lira dallo Sme, che costituiscono quella che nel volume di Baldassarri e Modigliani viene chiamata "la grande occasione" (si veda in particolare l'intervento di Modigliani). L'occasione da cogliere si può riassumere schematicamente in cinque punti strettamente collegati: 1) la svalutazione del settembre '92, e il deprezzamento successivo - ben oltre la perdita di competitività cumulata tra l'87 e il '92-fino ai livelli attuali (1000 lire per marco) consentono di sottrarre il tasso di interesse italiano dall'onere di sostenere una parità irrealistica della lira, e, al contrario, di ingenerare l'aspettativa di una futura rivalutazione; 2) ciò consente una riduzione di diversi punti dei tassi di interesse, con grandissimo sollievo sia per il disavanzo pubblico (riduzione della spesa per interessi) che per l'economia privata (ripresa degli investimenti); 3) un cambio così fortemente sottovalutato comporta, è vero, rischi di inflazione, ma questi possono essere evitati facendo conto sulla nuova disponibilità del sindacato a realizzare la politica dei redditi, cioè a contenere la dinamica salariale, il che, tenuto conto degli aumenti di produttività del lavoro, non verrebbe a gravare sui salari reali; l'inflazione, d'altra parte, verrebbe tenuta sotto controllo anche dal lato del bilancio pubblico, 4) il disavanzo pubblico, infatti, oltre che dalla riduzione della spesa per gli interessi sul debito pubblico, potrebbe così giovarsi anche dell'ulteriore contenimento, fino a una leggera riduzione, in rapporto al Pil, di altre voci di spesa pubblica, sulle quali, però, diversamente dal passato, non verrebbe più a gravare tutto l'onere dell'aggiustamento di bilancio sul fronte delle spese; 5) la pressione fiscale, infine, potrebbe restare invariata ai livelli attuali (grosso modo corrispondenti alle medie europee) consentendo allo stesso tempo un aumento delle entrate, che si realizzerebbe per effetto della ripresa non inflazionistica della domanda sostenuta in particolare dai primi tre punti del programma.
La "grande occasione" - come la chiamano Baldassarri e Modigliani - è stata resa possibile dalle politiche economiche dei governi Amato e Ciampi, che hanno segnato la transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica, e che hanno rappresentato a tutti gli effetti una svolta di centottanta gradi rispetto alle politiche monetarie e di bilancio degli anni ottanta (e, si potrebbe aggiungere, alle politiche degli stessi Amato e Ciampi quand'erano rispettivamente ministro del Tesoro e governatore della Banca d'Italia). Il volume di Giancarlo Morcaldo (un economista del Servizio Studi della Banca d'Italia) ricostruisce con grande cura le vicende di quel periodo, e le ragioni del loro cumularsi fino a configurare il nocciolo dell'odierno nodo di finanza pubblica: l'insostenibilità dell'attuale ritmo di crescita del debito, e i rischi di instabilità finanziaria che ne discendono. In proposito è anche utile la lettura dell'agile libro del giornalista economico Dino Pesole, che assolve la funzione meritoria di informare su argomenti che dovrebbero essere più conosciuti dall'opinione pubblica e da coloro che contribuiscono a formarla. Le varie voci di spesa e di entrata del bilancio pubblico trovano in Morcaldo un'illuminante comparazione con quelle degli altri paesi europei, il che consente di valutare in tutta la sua portata l'anomalia italiana. Morcaldo ricostruisce anche le linee di azione seguite per riequilibrare i conti pubblici a partire dal 1986 fino al '92-93, mostrando come i loro risultati siano stati assai modesti se non addirittura fallimentari, almeno fino al '90, se si tien conto - come si deve - della fase favorevole del ciclo economico, e nonostante la rilevanza degli interventi adottati dalla metà degli anni ottanta in poi. Altri importanti capitoli del libro riguardano gli effetti delle politiche di bilancio sulla domanda, sui prezzi, sugli investimenti privati (il famoso "effetto di spiazzamento") e sulla propensione al risparmio. Decisamente più scontato è invece il capitolo sui fattori di crescita della spesa che stanno alla base dei disavanzi, ma qui soccorre utilmente l'analisi dettagliata svolta da Daniele Franco (anch'egli del Servizio Studi della Banca d'Italia) per spiegare i numerosi fattori di ordine sia "strutturale" che "politico-discrezionale" (e come tali, quindi, almeno in linea di principio reversibili) che hanno portato al graduale aumento, in rapporto al Pil, delle spese per l'istruzione, la sanità, la previdenza e l'assistenza. Il metodo di analisi di Franco - che pure, come del resto Morcaldo, riprende un loro saggio già comparso in un volume del '92 curato dall'Ente Einaudi (una cosa di cui gli autori avrebbero forse potuto avvertire esplicitamente il lettore) - è del tutto condivisibile, perché si svincola finalmente da una logica di analisi aggregata che non è in grado di interpretare correttamente i complessi fattori che stanno alla base della crescita, nei vari periodi, delle singole voci più importanti di spesa dei vari comparti della pubblica amministrazione.
Ciò che meno convince, invece, del discorso di Morcaldo, in un volume pubblicato a più di un anno di distanza dall'uscita della lira dallo Sme, è il suo eccessivo attaccamento alla vecchia strategia di rientro, quella perseguita con poco o nessun successo - per sua stessa ammissione - fino al '92: una strategia che si giustificava nel quadro dei vincoli imposti dalle vecchie parità dello Sme (o da loro modesti aggiustamenti), che impedivano alla Banca d'Italia di pilotare decisamente al ribasso i tassi di interesse. Oggi, invece, come s'è detto, il nuovo quadro macroeconomico rende possibile, con la discesa dei tassi di interesse, una prospettiva più favorevole, e socialmente più equa e meno dirompente, di risanamento dei conti pubblici. Sempre che, naturalmente, non si finisca per essere ricacciati indietro dalle conseguenze del "corollario" di Blinder.

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