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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2013
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è un fatto evidente che da qualche anno si moltiplicano le pubblicazioni aventi per argomento i rapporti tra cinema e filosofia. Il fenomeno non ha alla sua origine un'improvvisa e tardiva scoperta del cinema da parte dei filosofi i quali soltanto ora avrebbero preso a valutare sub specie philosophica i film visti al cinema inizialmente magari soltanto per distrarsi. Al contrario i filosofi hanno dimostrato da sempre un interesse per nulla superficiale nei confronti del cinema basti pensare a Galvano della Volpe che era un assiduo frequentatore delle sale cinematografiche (e al quale il particolare di aver elaborato alcuni criteri di estetica filmica ancora oggi fondamentali non riduceva per nulla quel piacere di vedere i film da cui è mosso ogni comune spettatore).
Il fenomeno in realtà va ricondotto a una strategia editoriale che cavalca le analisi cosiddette interdisciplinari alla scoperta di sempre nuovi intrecci fra materie all'apparenza lontane tra di loro. è proprio in questa prospettiva che la voce cinema e filosofia rivela il suo carattere di mera tautologia linguistica. Infatti se appare lecito parlare ad esempio di cinema e letteratura in vista di un'analisi storica o critica tra due linguaggi artistici dal diverso statuto semantico appare invece non pertinente il titolo cinema e filosofia. Più esatto sarebbe usare la locuzione cinema-filosofia (o tanto per dire filmsofia) e questo per sottolineare la sostanziale identità esistente tra i due ambiti dal momento che il cinema esprime pur sempre un pensiero quale che esso sia.
Il merito principale di quest'ultimo saggio uscito sull'argomento consiste nell'aver chiarito i termini del rapporto tra cinema e filosofia e nell'aver preferito la chiave della conversazione a quella della schedatura notarile o faticosamente didattica da altri utilizzata (con a fianco di ogni titolo di film il nome del filosofo che lo avrebbe ispirato tipo L'attimo fuggente ed Epicuro e altre simili amenità). Quello che fa Curi è invece un percorso opposto caratterizzato dal lavorare i film da lui visti avendo sullo sfondo principi o teorie che si ritrovano nelle pagine dei filosofi vecchi e nuovi. Come quando ad esempio legge Il fiore del male di Chabrol alla luce della distinzione presente nella filosofia greca tra il tempo inteso come chrònos e il tempo inteso come aiòn il primo quello che indica successione il secondo quello immobile e in tal modo ci fa gustare anche meglio il film a prescindere dalle eventuali intenzioni filosofiche del suo autore. Oppure come quando ricorre a un frammento di Eraclito e una frase di Nietzsche per commentare il senso di L'uomo del treno di Leconte che concerne il come sia possibile vivendo la vita di un altro diventare ciò che si è.
Così la filosofia aiuta a capire i film ma anche i film aiutano a capire la filosofia. E questo perché come ricorda l'autore nella postfazione la cultura è sempre unitaria e vive di una dinamica circolare che vede coesistere manifestazioni diverse (alte o basse che siano) tutte convergenti a tentare di rispondere agli eterni perché dell'esistenza. Su questo piano Mystic river può farci meglio comprendere Bernardo di Chiaravalle e viceversa e Un film parlato la distinzione platonica tra mythos e logos e viceversa. Meglio ancora se a farci cogliere i richiami spesso involontari c'è un suggeritore affabile e non supponente come il filosofo che ama il cinema Curi.
Angelo Moscariello
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