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Per gli anni in cu fu pubblicato, nel 1950, questo libro fu certo un passo essenziale di liberazione dalla tradizione filosofica italiana ancora impregnata di idealismo e spiritualismo, tanto più che si tratta di un testo neotomista, che fa i conti anche con un certo neotomismo di ispirazione coscienzialista o comunque legata al pensiero di Gioberti. Ripercorrendo la storia del senso filosofico della conoscenza, a partire dai Presocratici, Vanni Rovighi ci regala momenti critici di riflessione, soprattutto nelle parti relative a Platone, Aristotele e Tommaso. Ma è con la filosofia moderna che le sue critiche diventano più fitte. Non esita a evidenziare quale è stato il grande fraintendimento da Galilei e Cartesio in poi: l'equiparare il metodo scientifico della fisica con quello dell'ontologia e della metafisica. Un'equiparazione che presume due sviste: l'aver abbandonato l'idea tomista di unità intenzionale distinta da quella fisica, l'aver soppresso in senso ontologico le qualità secondarie perché non misurabili. Con questi due errori tanto il razionalismo quanto l'empirismo hanno portato avanti una gnoseologia piena di paradossi e contraddizioni insolubili: come si può conoscere il conoscere? cosa c'è al di fuori della rappresentazione conoscitiva? esiste una sostanza, o siamo un fascio di percezioni? esiste solo il contenuto di coscienza di cui la coscienza ne è un'espressione irrilevante o esiste soltanto la coscienza di cui il contenuto è solo un'espressione derivata? Sul Novecento sono importanti le critiche al Neoidealismo, al Neokantismo, ma notevoli anche le pagini dedicate al Neopositivismo, nelle quali ci fa comprendere come sia importante, attraverso un percorso fenomenologico attento ad Husserl, ritornare al concetto di intenzionalità per il quale la coscienza è il correlato della presenza autonoma della cosa che si offre alla coscienza nella sua datità distinta e originaria, che noi possiamo conoscere in un modo mai definitivo. 8
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