Che Amilcare Ponchielli attendesse ad una nuova opera dopo il definitivo trionfodi Gioconda, pervenuta alla sua ultima versione il 12 febbraio 1880 alla Scala dopo inumerosi ripensamenti, era già di pubblico dominio nell’agosto 1879. Infatti la Gazzettamusicale di Milano, organo ufficiale della Casa Ricordi, ricordava che «i giornali cittadini,parlando dei futuri spettacoli, hanno ripetutamente annunziato che si rappresenterà la nuovaopera del maestro Ponchielli: Il figliuol prodigo. Vi furono, è vero, alcune trattative fraeditore e impresa, ma nulla di positivo è concluso perché l’opera del Ponchielli non è ancoraterminata». Probabilmente, aggiungiamo noi, giacché il maestro era ancora indaffarato alleulteriori, e finalmente conclusive, rifiniture alla sua opera più acclamata. Ma vi intervenneroaltre motivazioni, quali una malattia del maestro e, come dichiarato dallo stesso GiulioRicordi, «la mancanza di un tenore idoneo ad esserne il protagonista».Il cartellone della Scala indicava, come spettacolo d’apertura della stagione 1880-81, ecioè il 26 dicembre 1880, Il figliuol prodigo, opera-ballo in quattro atti di Angelo Zanardini,musica di Amilcare Ponchielli.L’opera incontrò un franco successo, naturalmente esaltato dal periodico di Ricordi chesottolineò come «il pubblico cominciò ad accendersi fin dal primo corale meyerberiano e salìal culmine dell’entusiasmo nel finale di quest’atto, pagine di musica in cui il maestro e iltenore Tamagno fanno gara di canto appassionato»…«In seguito l’opera non cade mai e simantiene trionfante anche nel quarto atto che è forse il più ispirato».Dal canto suo l’allora ancor giovane Corriere della sera commentò: «Della musica nonabbiamo che a dir bene: larga vena melodica, vigoroso accento drammatico, maestria nelmanovrare cori e masse, vivace colorito orchestrale».Fu criticata la scelta del soggetto, «così freddo, così povero, così antimusicale» (il criticoFilippi nella Perseveranza), e fu osservato che lo Zanardini, traendo il suo libretto da quellodello Scribe per Auber (1850), era caduto negli stessi errori, pur avendo cercato di semplificarela vicenda per renderla più scorrevole e teatrale.A parte le riserve sul soggetto biblico e sul libretto in sé, unanime fu il riconoscimento sullaqualità della musica e sulla indiscutibile perizia del compositore; il Filippi, noto estimatoreponchielliano, rileva la maturità artistica raggiunta dal maestro e ne illustra i processicompositivi: «Come tutti gli autori che arrivano a formarsi uno stile proprio, il Ponchiellinon riesce di facile, di immediata percezione al pubblico, ancora poco famigliare con questostile. Aggiungasi che nel Ponchielli l’ispirazione si sviluppa quasi stentatamente: da principiosi avvolge in una specie di nube, ma poi prende fiato, il suo pensiero acquista forza,chiarezza, espansione; la situazione, o il sentimento, s’impadronisce di lui ed allora esconoquegli effetti ultimi, quegli slanci finali che l’altra sera hanno, in parecchi punti, fatto delirare il pubblico della Scala». Concludiamo questi brevi accenni sulla critica coeva con ilricordare che Amintore Galli, direttore artistico della Casa Sonzogno, nel primo numero delTeatro illustrato firmò una lusinghiera disamina della nuova opera ponchielliana, malgradola nota rivalità tra i due editori musicali milanesi.
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