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I figli dell'ultimo banco - Augustin D'Humières,Marion Van Renterghem - copertina
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figli dell'ultimo banco

Descrizione


Dura, insegnare greco e latino in un liceo di periferia, quando a chiedere "Ma a cosa serve?" non sono solo ragazzetti svogliati nutriti di rap, sms e Grande Fratello. Dura, quando le riforme, le normative ministeriali, i colleghi in cerca solo di un quieto vivere, i presidi burocrati e kapò ti vedono come un granello di sabbia in un ingranaggio. Nel sistema scolastico applicato sulla pelle del professor d'Humières bisogna essere compiacenti e conformisti. E poi, latino e greco, suvvia meglio le materie tecniche, e perfino i corsi di golf, di alpinismo. Ma se i nuovi studenti che arrivano dalle medie non scelgono greco, le lezioni verranno soppresse, e l'insegnante? Così, per poter fare il professore, devi fare anche il piazzista, e nelle giornate di orientamento "vendere" la tua materia. Boicottato, osteggiato, il prof non molla, e trova aiuto negli ex alunni, ragazzi che hanno proseguito gli studi e possono fare da testimonial, garantendo che serve studiare anche il greco. Per esempio, dove sono andati a pescarlo, i guru del marketing, il nome delle scarpe che tutti indossano, se non dal greco "Niké", vittoria? Infatti, quando all'università il gioco si fa duro, è proprio al greco che ti puoi aggrappare per non cadere. Per sostenere la causa di un'educazione completa, l'instancabile professore mette in piedi un progetto che porta il teatro tra i giovani delle periferie...
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Dettagli

2011
160 p., Brossura
9788856614459

Voce della critica

La vicenda inizia nell'estate 1995, anno in cui Augustin d'Humières, autore e narratore, giovane professore di latino e greco, riceve il primo incarico "a titolo definitivo" in una scuola periferica dell'Île-de-France. Il lettore italiano, specie se insegnante, può essere colto da un certo disorientamento nel seguire le peripezie del protagonista in un sistema scolastico così diverso dal nostro.
In questa grossa scuola della banlieue ("Un benevolo cartello avvertiva l'automobilista: 'Prudenza! Liceo d'eccellenza: 1.500 alunni'"), frequentata dai figli di immigrati di svariate nazionalità e che sorge in un contesto urbano e sociale di grande deprivazione, per far fronte all'alto tasso di abbandono scolastico e alla diffusa demotivazione, si ricorre a strategie compiacenti: prima con l'alleggerimento dei criteri per la promozione, poi con il riorientamento verso indirizzi di studio più facili, i cosiddetti corsi tecnologici, attivati all'interno dello stesso istituto. "Queste classi fungevano da autoscopa per gli indirizzi generali. Arrivammo ad avere fino a quattro seconde di scienze tecnologiche e gestionali. (…) Naturalmente, non bisognava dire che quelle classi erano binari morti, altrimenti si veniva immediatamente sospettati di elitarismo e disprezzo nei confronti degli studenti. Queste classi tecnologiche finivano addirittura per essere considerate come una soluzione dagli alunni più motivati: un diploma facile da ottenere, in poco tempo e con poco lavoro. Nessun accesso agli studi superiori. Per quello che servivano gli studi superiori!". Questa soluzione ha il vantaggio di far rapidamente aumentare il numero di classi dell'istituto, sicché, a dispetto dell'abbassarsi della qualità dell'istruzione impartita, il dirigente scolastico e il suo staff possono vantarsi per l'aumento del numero delle classi. "Il 'bravo professore' diventava allora quello che si avvicinava di più all'animatore di quartiere – senza averne né la formazione né le competenze – quello che sapeva che l'ultima cosa da fare in quelle classi era di pretendere di fare lezione".
D'Humières documenta il suo disagio all'interno di un sistema che camuffa con il successo dei numeri il reale insuccesso nella qualità dell'istruzione con testimonianze dirette, come, per esempio, la dichiarazione di Cristine Bureau-Garonne, "uno degli ultimi capi d'Istituto che sappia leggere e scrivere", che conclude la sua carriera "perfettamente fallimentare" dopo aver vanamente lottato contro le continue illegalità riscontrate in vari istituti scolastici. "Per me la missione di un capo di istituto è di occuparsi anche o innanzitutto di quelli che si trovano ai margini della strada. L'idea di misurare l'istruzione nazionale sulla quantità, con il famoso 80% dei diplomati, è assurda. Il problema non sta nell'ottenere il diploma, ma nel saper parlare il francese al momento di lasciare la scuola e di entrare nel mondo del lavoro, nel sentirsi a proprio agio con se stessi, nel saper ragionare in modo sensato. Ci sono quelli che non sanno adattarsi alla scuola, e allora la scuola deve potersi adattare a loro. Ma questo la scuola non lo sa fare".
Illustrate le ragioni della bassa qualità dell'istruzione liceale in Francia, nella seconda parte il racconto di d'Humières si fa più biografico. "La volontà di difendere il greco e il latino fu una specie di riflesso: queste materie mi avevano dato un lavoro, erano state fonti di rare soddisfazioni durante il mio percorso scolastico, rappresentavano una sorta di paesaggio familiare che non volevo vedere scomparire, soprattutto sbarcando in una terra così inospitale". Il professore escogita un sistema di autopromozione per le proprie materie, incentivando di persona l'iscrizione ai suoi corsi e sfidando in ciò prima lo scetticismo dei genitori, che non vedono sbocchi utili per questo tipo di studio, e poi l'invidia dei colleghi, a causa del notevole numero di iscritti per classe che il professore riesce a ottenere. Certo, lo studio delle lingue antiche può sedurre, sulle prime, per quell'aura di esotismo e di curiosità sollecitata da un sistema linguistico e culturale che tanto ci aiuta a capire anche la nostra stessa lingua. Ma la motivazione a essere tenaci, costanti, attenti ai particolari è difficile da sollecitare con la semplice proposta di uno studio sedentario e applicativo, tanto più se l'utenza è attratta da mille altri stimoli che portano in direzioni opposte. L'aiuto "metodologico" e pedagogico viene coinvolgendo questi ragazzi, facilmente destinati a restare ai margini della società, in un progetto teatrale. La sera della prima, scrive d'Aumières, "li guardavo affascinato dalla postazione di regia, erano gli stessi che avevo chiamato quindici volte al cellulare, che avevo svegliato durante le prove, che gridavano perché invadevo la loro vita privata (…) Il riconoscimento che ne traevano gli attori principianti era immenso, giungeva a modificare il loro modo di parlare, di leggere il testo a lezione (…) Quell'impresa mi appariva come l'indispensabile complemento delle ore di lezione, un mezzo per far passare in modo un po' più spettacolare le esigenze di rigore, di puntualità di concentrazione".
Il progetto, nato nel 2003, si sviluppa nel tempo e ora ha il suo portale al sito www.operationmetis.com. Al lettore classicista, un po' scettico sull'utilità che possa avere il racconto di quest'esperienza d'oltralpe (dove il testo fu edito nel 2009), ambientata in contesti per ora diversi dai nostri, suggerisco di correre rapido a leggere le ultima pagine, alla postfazione, con un'intervista a Jaqueline de Romilly: "Vede, non ho mai insegnato nelle periferie così come sono adesso. E per un buon motivo: come sapete, sono avanti negli anni. Ora che ritengo indispensabile farlo, la mia presenza metterebbe in fuga gli studenti: Ma ho sempre pensato che si dovesse dare accesso, tramite le radici stesse, alla nostra cultura. Dare la bellezza e le sfumature. Per un motivo molto semplice: come si possono distinguere due idee affini se non si sanno attribuire loro le parole giuste? Come si può pensare, se non si è capaci innanzitutto di padroneggiare la propria lingua? Il greco è un elemento di formazione intellettuale e morale fondamentale per le persone mal orientate e che, per mancanza di aiuto, rischiano di cadere nell'incomprensione, dunque nella violenza".
Conchita Sannino

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