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Anno edizione: 1998
recensione di Bordone, R., L'Indice 1995, n. 5
recensione pubblicata per l'edizione del 1994
Pochi concetti, forse, hanno conosciuto interpretazioni storiografiche vivacemente contrapposte come quello individuato dal termine "feudo" e dai suoi derivati. È probabile che ciò sia determinato dalla lunga sopravvivenza formale dell'istituzione nel corso dei profondi mutamenti attraversati dalla società europea di antico regime, dalle sue origini medievali agli esiti di fine Settecento.
La sistematica sintesi di Renata Ago diventa dunque un indispensabile strumento di orientamento per navigare tra significato e interpretazione della feudalità, nelle acque poco conosciute - ancorché molto frequentate - che riguardano l'uso del concetto di feudalità in età postmedievale.
L'ambiguità, a lungo conservata dal termine, consiste nella sovrapposizione di due fenomeni originariamente (e concettualmente) distinti: la retribuzione provvisoria di un servizio di tipo militare che crea un collegamento fra due individui, e l'esercizio della signoria sui residenti di un certo territorio, ora riconosciuto come contenuto della retribuzione stessa. Ciò originerà in età moderna un vero e proprio "sistema" comune all'intera Europa in cui si attenuano i contenuti militari, sopravvivono la base fondiaria e i diritti di prelievo sul lavoro contadino, acquistano diversa valenza politica, sociale e culturale i rapporti fra feudatario e sottoposti (ora chiamati "vassalli) e tra feudatario e sovrano.
Sul piano istituzionale il feudo si presenta, in età moderna, come un complesso territoriale con facoltà giurisdizionali che vincolano gli abitanti, non sempre omogenee e predeterminate, ma variabili regionalmente a seconda delle concessioni (spesso a titolo oneroso) del sovrano: dai diritti di sorveglianza e polizia; comuni a tutti, al godimento delle "banalità" fiscali fino all'esercizio della giurisdizione civile e penale. Il detentore del feudo rientra così in un regime giuridico speciale: in genere esentato dal pagamento delle imposte in quanto tenuto all'originario servizio militare, può lasciarlo in eredità al primogenito o legarlo per fedecommesso agli eredi futuri in base a complicate previsioni di discendenza, o addirittura alienarlo, previa autorizzazione - almeno in Italia - del sovrano.
Tutto questo è sovente motivo di interminabili liti sia tra feudatari e sovrani sia all'interno dei lignaggi, soprattutto per gli aspetti economici connessi con la detenzione del bene feudale. L'economia del feudo rientrerebbe piuttosto nel regime propriamente signorile, rifacendosi alla suddivisione patrimoniale fra dominio a gestione diretta e riserva in concessione, ma, come si è visto, in questa età lo stretto nesso tra feudo e signoria porta ormai a considerare "feudale" il rapporto tra il possesso fondiario e la sua gestione. Un rapporto che presenta vistose differenze regionali: la Ago individua un modello polacco, che tende a irrigidire la dipendenza contadina e a chiudere in sé il mercato, e modelli alternativi (normanno, meridionale, ecc), più aperti alle trasformazioni di gestione, come l'appoderamento e la mezzadria. Questa preminenza patrimoniale rispetto alle altre componenti sociali condiziona così l'inserimento politico della feudalità nelle strutture dello Stato moderno, configurandola come interlocutore privilegiato del sovrano sia nei Parlamenti e nelle Assemblee di stati, sia nei Consigli: l'attenzione dell'autrice tende dunque a spostarsi sulla nobiltà "feudale" e sulla sua funzione, pur senza perdere di vista il tema principale.
L'idea centrale che attraversa i secoli di antico regime è dunque quella che la nobilità sia congiunta all'amministrazione dello Stato in conseguenza della rappresentanza di cui i nobili si sentivano investiti in quanto "patroni" delle comunità da loro dipendenti. La protezione esercitata nel tutelarne gli interessi nei confronti dell'amministrazione regia rispondeva a una sorta di "principio di sostituzione" dei propri dipendenti, mediando gerarchicamente il loro rapporto con il sovrano. Se da un lato il processo di costruzione dello Stato moderno ha comportato un addomesticamento della nobiltà feudale, tradizionalmente considerata antagonista dell'assolutismo, la contrapposizione ideologica tra le due forze risulta di fatto più apparente che reale, in quanto tanto i fautori dello Stato assoluto quanto i difensori dell'autonomia feudale si ispiravano a un'unica, "comune scienza assolutistica del potere".
I singoli nobili, i "grandi", infatti cercavano spazi di affermazione nella ricorrente debolezza della monarchia, basandosi tuttavia su un sistema gerarchico di fedeltà, di evidente origine pattizia-feudale, mentre i rapporti orizzontali tra pari erano soggetti a tensioni irriducibili. Di ciò seppero approfittare sovrani come Luigi XIV che riuscì a rendere la nobiltà costantemente dipendente dal suo buon volere, accentrandola a corte. In questo modo il re diventa garante dell'equilibrio tra i pari, disarmando la nobiltà feudale e trasferendo (e confinando) sul piano dell'"etichetta" di corte la conflittualità della concorrenza nobiliare (il "punto d'onore"). Da qui l'importanza attribuita a norme di comportamento sociale che di fatto segnano la profonda trasformazione del "sistema culturale" feudale dagli ideali militari-cavallereschi (legati alle virtù guerriere) a quelli "corta" che comprenderanno l'utilità della cultura, l'educazione, l'autocontrollo del gentiluomo.
Il volume si chiude con un'ampia e articolata disamina del dibattito storiografico su feudalesimo e feudalesimi in età moderna, a partire dagli antecedenti settecenteschi (Voltaire e Montesequieu) per passare all'interpretazione marxiana del "modo di produzione" fino ad approdare al comparativismo proposto da Bloch. Ma il nodo del problema nella storiografia successiva rimane ancora se si possa parlare o non di feudalesimo in età moderna, nel complesso intreccio fra regime signorile, nobiltà, proprietà e condizione contadina, specie con la crisi del Seicento e con la ripresa di diritti e privilegi dei ceti egemonici.
Innovativa al riguardo si mostra l'attenzione di Lawrence Stone ai fattori psicologici e culturali che contribuiscono alle mutazioni funzionali nell'Inghilterra di fine Cinquecento, mentre le strutture restano sostanzialmente immutate. Altrettanto importante appare lo studio del rapporto tra feudalità e Stato assoluto, riguardo al quale l'autrice assume gli orientamenti più aggiornati che individuano una comune base ideologica in grado di ridimensionare il ruolo della nobiltà, rendendola dipendente dalle concessioni regie di uffici e provvidenze.
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