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Chiara Valerio, non ancora trentenne, non è al suo esordio narrativo: la raccolta di racconti A complicare le cose, pubblicata nel 2003, ha vinto il premio Carver-Prospektiva e nel 2005 la piéce Non capisci è stata rappresentata durante ''Mai detto, m'hai detto'', primo festival nazionale di microdrammaturgia. Il pregio di questi nuovi racconti, come di quelli precedenti, sta nella scrittura, secca e precisa, corrispondente a una logica stringente, che forse discende dal corso di studi in matematica: "Quando il principio A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria si era trasformato in A ogni azione corrisponde una assunzione di responsabilità". Da un pretesto minimo o da un'osservazione quotidiana ha origine una concatenazione di pensieri lucidi e mai scontati, che spesso comportano un cambiamento o una rivoluzione dolorosa. È il caso, per esempio, di The price of Spritz, dove tutto si muove, dalle scelte compiute all'identità sessuale, trascinato dall'onda di una riflessione continua sulla borghesia. Altre volte c'è un segno minimo, il sintomo di un disagio a cui non si è ancora dato un nome, come nel caso della ragazza che si muove in una casa perfetta, sotto il carico delle aspettative che i genitori hanno riposto in lei, con un'insopprimibile e frustrata voglia di caffè che si risolve in una truffa grottesca. Il meccanismo, che scatta sempre da un particolare minimo, può sconvolgere esistenze o può sospingere verso soluzioni impreviste, a meno che "l'anonimato ci torni addosso come una coperta calda e sicura contro il vento freddo degli aneddoti degli altri". Il rischio è che lo scavo, che intacca ogni gesto quotidiano, sia minato da un eccesso di attenzione (e anche, a volte, di intellettualità) tanto da inceppare il meccanismo della vita. Chiara Valerio lo sa e lo dice in più modi, per esempio quando riporta la riflessione sui "lacci" ("il laccio è la sintesi della sicurezza del 'l'hai fissato bene?' dei viaggi in auto e bagagli") di una ragazza che, quando cade per l'ennesima volta in metropolitana e perde una scarpa, rimpiange il tempo dell'infanzia, quando si cadeva e "non ci si faceva niente". O, ancora, quando racconta, in Pe(n)ne d'amore (una finta lettera a Natalia Aspesi), la crisi di un uomo, abituato a usare solo gomma e matita, nel momento in cui una ragazza che gli interessa gli regala una penna. Se le metafore e la simbologia degli oggetti possono sembrare talvolta troppo complesse, si chiariscono sempre nello svolgersi del monologo interiore, chiaro, spezzato, spesso denso di ironia.
Monica Bardi
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