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Il bello dei romanzi è che ci fanno viaggiare indietro nel tempo, ci fanno conoscere mondi di un tempo che fu; questo, in particolare, ci porta nel distretto di Posechon'je uno "sperduto cantuccio" della Russia. Siamo, all'incirca, nella prima metà dell'Ottocento e il narratore Nikanòr Zatrapeznyj racconta la sua infanzia vissuta nella tenuta di "Lampaneto". La vita è scandita dall'alternarsi delle stagioni e dal lavoro nei campi che vede una sosta nel periodo invernale quando i nobili di medio rango si dedicano alla "vita beata" con balli, abbuffate di cibo, visite ai vicini. Su tutto grava l'inferno della servitù della gleba; ai servi domestici e ai servi contadini i proprietari non concedono riposo, eccetto per Natale e per carnevale, il cibo è scarso ed immangiabile, cavoli sconditi e zuppe di farina d'avena.La servitù femminile dorme ammucchiata in camerate soffocanti e maleolenti, vere e proprie cloache. Non mancano le frustate per ogni minima mancanza, qualcuno morirà sotto la frusta, altri si suicideranno, altri uccideranno padroni la cui crudeltà supera ogni limite; è il caso della zia Anfisa che verrà soffocata coi cuscini. Questo mondo, però, è ormai al crepuscolo, comincia a scricchiolare, a sfaldarsi quando nel 1856-1861 si comincia a parlare di "libertà" per i servi. Nikanòr racconta del padre imbelle, della madre avarissima, delle zie-golose, di storie di amore tra i servi, di ragazze che cercano marito, di balli, di nobili scialacquatori finiti in povertà, della sofferenza dei servi, dello zio usuraio, della vita a Mosca... Un altro grande romanzo russo. Da non perdere.
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