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Questa monografia, dedicata alla figura di Ermanno Amicucci, rappresenta un utile contributo alla conoscenza delle politiche adottate dal regime fascista nel campo dell'informazione. Segretario del sindacato nazionale dei giornalisti fascisti dal 1927 al 1932, Amicucci assolse il compito, affidatogli da Mussolini, di "fascistizzare" il settore della carta stampata, tentando contemporaneamente di promuovere un rinnovamento del giornalismo italiano che rispondesse alle aspettative "rivoluzionarie" del fascismo. I primi tasselli di questa politica furono una nuova legislazione sulla stampa, l'introduzione dell'Albo e dell'Ordine dei giornalisti, e l'istituzione di una scuola di giornalismo, che ebbe vita breve. Epurate le testate giornalistiche dagli elementi sgraditi al fascismo, il disegno di Amicucci volto a valorizzare il ruolo del sindacato fascista si rivelò però difforme rispetto agli indirizzi del regime. Mussolini, diffidente verso una qualsiasi concessione di autonomia al giornalismo fascista, e preoccupato di non urtare gli interessi degli editori, nei primi anni trenta preferì infatti procedere a un controllo ancor più stretto sull'informazione, avviando una pianificazione burocratica del contenuto e della diffusione delle notizie. Terminata l'esperienza sindacale, Amicucci dedicò le proprie indubbie doti di organizzatore alla "Gazzetta del Popolo", di cui era direttore dal 1927, dando libero corso alle proprie aspirazioni rinnovatrici. Il quotidiano torinese, con la sua veste moderna, e il suo taglio popolare, introdusse in Italia un modello di giornalismo alternativo a quello tradizionale, insidiando il primato dell'austero "Corriere della Sera", di cui lo stesso Amicucci, a conferma della sua fedeltà al regime, sarebbe divenuto direttore durante il periodo di Salò.
Cesare Panizza
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