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Intenso, magico e trascinante. Matthew Gregory Lewis al suo meglio, in una favola dark, paurosa e inquietante.
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Nell'Inghilterra del 1797, la moda dei romanzi e dei drammi "gotici", ricchi di elementi sensazionali e ambientati in un medioevo immaginario, è nella sua fase più intensa. Matthew Gregory Lewis, che ha raggiunto la celebrità l'anno precedente, a soli diciannove anni, con il romanzo "nero" Il monaco, ottiene un altro clamoroso successo con questo dramma, meno trasgressivo e frenetico nell'intreccio, ma in gran parte fondato su temi simili e su un'analoga commistione di tragico e di comico. Gli ingredienti sono quelli già caratteristici dei fortunatissimi romanzi di Ann Radcliffe: in un castello ricco di passaggi segreti e prigioni sotterranee, il conte Osmond tiene prigioniera l'innocente eroina, Angela, per costringerla a sposarlo. Nel corso di cinque atti ricchi di peripezie, verranno alla luce i passati, sanguinosi delitti del villain e l'innamorato di Angela, il nobile Percy, riuscirà a portarla in salvo. Tra gli elementi che all'epoca segnarono il successo dell'opera, c'è la figura complessa e affascinante del malvagio, quasi una prefigurazione dei tormentati eroi byroniani, l'impressionante apparizione del fantasma di una gentildonna assassinata e la presenza di quattro giganteschi schiavi neri, animati da un feroce risentimento nei confronti degli europei che li hanno strappati alla patria e alle famiglie. Inoltre, la fanciulla perseguitata non ha un ruolo meramente passivo, ma nel concitato finale, per difendersi pugnala, forse a morte, il suo oppressore. Come nota la curatrice, nonché traduttrice, siamo di fronte a un dramma in cui "l'estetica del sublime rivela appieno il suo potenziale sovversivo": istanze antitiranniche e ribellione femminile imprimono un orientamento nettamente libertario agli stereotipi del "gotico" trionfante e ormai in via di codificazione. Mariolina Bertini
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