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Devo ringraziare Claudia Piccinno per avermi fatto avere questo libriccino di poesie, grazie al quale ho potuto avere un assaggio della poesia indiana, a me del tutto sconosciuta con l’eccezione di quella di Tagore. E non a caso ho fatto il nome di questo grande poeta bengalese perché, per certi aspetti, come vedremo, Santosh Alex sembra procedere nella sua scia, soprattutto per quel rapporto, tipico della filosofia orientale, con cui l’essere umano si accosta alla natura. C’è una palpabile tenerezza con cui Santosh Alex sembra dialogare con il mondo che lo circonda, dove tutto è vita, perfino il fango che si crea con la pioggia e si rapprende con il sole. La sua è una poesia che rivela un misticismo frutto di un mondo immutato nei secoli fino a qualche lustro fa e che ora è avviato a un repentino, e non sempre incruento progresso. Il poeta del Kerala, stato dell’India meridionale, riesce a cogliere questa transizione da un mondo arcaico a un altro moderno, e lo fa con tenerezza, con la stessa tenerezza con cui un figlio vede il proprio genitore anziano. Il tutto è all’insegna della semplicità, dell’immediata comprensione. In India, quando le sensazioni ed emozioni sono autentiche, è come in Italia, in Francia, ovunque, a testimonianza che non esistono razze, ma persone e questa mia considerazione nasce dal fatto che nel leggere questa silloge ho avuto l’impressione che il messaggio sia universale e cioè che l’uomo, ovunque, senza distinzioni, sia parte, spesso inconsapevole, della grande famiglia del genere umano, un invito alla fratellanza di cui si avverte ogni giorno un crescente bisogno. Ne raccomando la lettura, perché lo merita.
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