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Ripercorrendo le infinite fughe ed avventure dell'infaticabile Henry, sempre contraddistinte dalla sua incredibile capacità di cavarsela, Roddy Doyle ci racconta l'America degli anni Venti, la Chicago del jazz e dei conflitti razziali, un mondo con ingiustizie e soprusi ma pieno anche di vita, di musica e di energia.
«Un capolavoro. Una divertente, appassionante epopea» – The Washington Post
Dopo aver preso parte alla lotta per l'indipendenza irlandese e dopo aver fatto molto lavoro sporco che gli ha procurato qualche nemico, Henry Smart abbandona l'Irlanda per approdare nella città delle grandi occasioni: New York. È il 1924. L'America è un mondo dove Henry, unendosi a modo proprio alla grande epopea migratoria dei suoi connazionali, ricomincia da zero, ma è anche un bastimento che naviga sulle onde del proibizionismo. E come tanti, Henry le cavalca, con audacia e alterne fortune... Costretto alla fuga, si sposta a Chicago, dove avviene l'inatteso incontro con un giovane genio di nome Louis Armstrong, di cui diventerà l'improbabile braccio destro.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non mi era mai successo di abbandonare un libro verso le ultime 20 pagine...non ce l'ho fatta, non ne potevo più....voltavo le pagine in cerca di un senso ma i dialoghi all'americana scritti da un irlandese (direi triste), tutti migliori amici di smart che è il più bello, il più forte, il più fico...ma insomma il libro se fosse finito 200 pagine prima forse avrebbe meritato un 3, anche un 4 ma andare avanti così è pura agonia per chi legge. volevo finirlo ma proprio non ce la faccio...mi dispiace , mi è simpatico doyle ma se non si ha niente da dire è meglio restare in silenzio no? si fa più bella figura.
mha....ad essere sincero mi è piaciuto decisamente molto di più "Una stella di nome Henry".Questo l'ho trovato interessante ed avvincente in alcuni tratti ma noioso e inconcludente in altri....speriamo che il seguito (che per forza deve esserci) sia migliore e più "irlandese"
Evitatelo. Se deve essere il primo Doyle della vostra vita, iniziate da dove volete (perfino da "La donna che sbatteva nelle porte", piuttosto), ma evitate questo: lo deve avere firmato senza leggerlo prima ...
Recensioni
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“Hettie si sbagliava. Quello era un mondo nuovo, sempre più nuovo man mano che ci si avvicinava ai quartieri alti. Più grande, più largo, più scintillante. Guardai fuori, mi sporsi nella vera Manhattan. Beep Beep ci portò fuori dall’ombra della sopraelevata e lassù un alto c’era il cielo, in cima ai muri che venivano giù a perpendicolo.”
È irlandese la faccia già vista del titolo: è quella di Henry Smart (ricordate Una stella di nome Henry?), in fuga dal suo paese natale dove non tutti lo ricordano con affetto. In Irlanda, una terra difficile, densa di conflitti e di occasioni pericolose, lascia una moglie praticamente sconosciuta, la cui fotografia conservata nel portafoglio sbiadisce nel tempo, una figlia tenuta in braccio una volta soltanto, alcuni amici, ma soprattutto molti nemici da cui scappare. La migliore meta è il Nuovo Mondo, da raggiungere con un nome falso, Henry Drake, subito abbandonato in favore di un altro, Glick (per non tornare al proprio), ma senza pubblicizzarlo troppo in giro perché sarebbe troppo facile in ogni caso ritrovarlo per tipi come Johnny No o & Figlio, o per altri uomini del suo passato, gente capace di tutto.
Un lavoro, ci vuole un lavoro nella New York del 1924, nel pieno del proibizionismo americano, e la nostra voce narrante lo trova, facilmente, nel campo della pubblicità. Ha una faccia già vista, Henry, ma una faccia anche piacevole che aiuta a introdursi in molti ambienti non solo professionali e raccogliere fiducia.
Roddy Doyle scrive un romanzo di grande livello sia per la storia importante che racconta, che per il modo, brillante e intelligente, che ha di farlo. Una versione irlandese di romanzi come Il Padrino, o di film come C’era una volta in America: è l’occhio di un americano-non americano (quello di Doyle, ma anche del protagonista), lo sguardo europeo che legge i fatti in modo differente, non perdendo le proprie radici e i legami, forti, con la terra d’origine.
Straordinaria anche a capacità dello scrittore irlandese di ricostruire le strade, le case, i negozi, gli arredi, le abitudini del piccolo quotidiano, le voci, il linguaggio di un modo, quello dell’immigrazione americana d’inizio Novecento, dal momento in cui i protagonisti si alzano la mattina prestissimo a quando vanno a dormire la sera, non tutti e non sempre sobri. Particolarmente efficace la chiave che utilizza per entrare in questo mondo, una professione ormai dimenticata ma che in quegli anni faceva vivere molte persone: l’uomo-sandwich che con cartelloni pubblicitari che reclamizzavano negozi, botteghe e attività commerciali in genere, batteva i marciapiedi di New York e altre metropoli americane, cercando di colpire e attirare il maggior numero possibile di clienti. Una bella faccia e un bel portamento: i segreti fondamentali del mestiere, che il nostro Henry scopre subito di possedere. Così come si accorge ben presto che quel proibizionismo imperante può essere anche fonte di guadagni (e di guai) imprevisti. Di nuovo in fuga, e ancora una volta la chiave per entrare nel Nuovo Mondo e diventare uno yankee è quella del lavoro: da modello hard a cavadenti e rabdomante, a scaricatore di casse sino a incontrare a Chicago (e lo anticipa la copertina di Guido Scarabottolo) un grande jazzista, Louis Amstrong (Il Più Grande Trombettista del Mondo) e a legare a lui il proprio futuro. Magistrale il modo in cui Doyle riesce a descrivere il mondo degli americani giunti in questa terra ormai da troppe generazioni per ricordare i legami antichi, e il forte senso di appartenenza a una minoranza e radici differenti dei nuovi arrivati e dei neri. Lo scrittore dà vita così a una mescolanza di personaggi che viaggiano sul limite dell’illegalità, o la superano, che vivono nel rimpianto del passato o nella speranza ottimistica del futuro, che cercano una via d’uscita e magari riscoprono proprio ciò da cui stavano scappando: un affresco dell’America in fermento tra gli anni Venti e Trenta rappresentata da una faccia, quella di Henry Smart, che non dimenticheremo facilmente.
A cura di Wuz.it
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