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Anno edizione: 2018
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Lavoro risalente al 1980 e di cui pochi notano la bellezza e la qualità delle composizioni, fortunatamente ristampato dalla sempre attenta Unseen worlds, nella quale l’universo in espansione della Spiegel si è ulteriormente allargato grazie alle 15 tracce inedite (ma sempre risalenti allo stesso periodo) che si sono aggiunte alle 4 originali. All'epoca l’autrice era particolarmente interessata all’interazione tra i primi computer e i sintetizzatori. Il risultato di tutto ciò lo si può ascoltare in questo disco: musiche che non hanno la rigidità che vi potreste aspettare, ma che, anzi, utilizzano le macchine elettroniche in maniera molto fantasiosa e libera. L'iniziale “Patchwork” è un brano che nelle cellule melodiche ossessivamente ripetute ricorda molto il Glass dei primi ’70, ma da queste cellule si sviluppano temi e incroci tanto improbabili quanto piacevoli con sonorità che ricordano molto quelle dei primi Kraftwerk. “Old wave” si muove invece su ritmi inesistenti, con toni lunghi e prolungati che sembrano evocare una lunga e stupita espressione di meraviglia per qualcosa. Anche il terzo brano, “Pentachrome” si muove su coordinate meditative, e pare confermare questa strana equazione per la quale sommando l’ispirazione minimalista con l’ingegneria del software musicale si toccano lidi non dissimili da quelli di certi corrieri cosmici con un gusto per il rumore e qualche dissonanza che donano calore al suono dei sintetizzatori. Il centro del disco è però il brano che lo titola che, con la sua mezzora, occupava l’intero lato B dell’LP originale. Parte con un lento crescendo vagamente Tangerine Dream sul quale si affacciano pulsazioni profonde e armonie immobili ad arricchirne la trama dando una idea di (lentissima) circolarità musicale davvero molto interessante e seducente (e minimalista). Buoni anche gli inediti per quella che ci sembra una molto felice riscoperta.
Recensioni
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