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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2008
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Ho letto questo libro quando ho cominciato la mia carriera di insegnante e riletto adesso che sono alla sua conclusione. E’ un diario sicuramente datato per il contesto storico, ma con profonde verità rimaste immutabili negli anni. Si ride molto con i siparietti degli scioperi, del viaggio di istruzione, dei collegi docenti, degli scrutini, insomma di tutta la vita di un anno scolastico, ma sono risate che hanno anche un che di amaro, sanno di sconfitta di chi ama la scuola e la vorrebbe migliore, ma vede anche l’impossibilità di progetti che si scontrano con l’ottusità di un sistema restio a cambiare. Legga questo libro chi vuole vedere la scuola dall’altra parte, da quella dei docenti che sono uomini e donne con passioni e ideali, miserie e tormenti quasi sempre invisibili agli occhi degli alunni.
Questo diario di un anno scolastico, uscito a suo tempo a puntate sul “Manifesto”, è anche un eccellente romanzo sul mondo della scuola, pieno di ironia, di comicità a volte amara, di tristezze ed esaltazioni effimere; probabilmente, solo un insegnate può davvero comprendere la desolazione degli scrutini, le angherie dei presidi, la farsa delle interrogazioni, gli episodi di varia umanità tra insegnati, tra studenti e insegnanti, la vacuità di rituali quali la compilazione del registro, la scrittura dei giudizi, le periodiche riunioni; meglio di ogni ricerca statistica e di ogni studio serio e ponderoso, questo romanzo traccia un ritratto veritiero della scuola pubblica italiana, oltre ad essere una lettura a tratti esilarante. Alcuni dei personaggi (il preside ignorante, gli impiegati maleducati, i bidelli fannulloni, gli alunni secchioni, quelli politicizzati) sono delle icone, dei personaggi tipici, degli stereotipi che però fissano sulla pagina personalità esistenti nella vita reale. Il personaggio più riuscito, credo, sia il preside, il quale ripete per tutto il romanzo la frase “Non facciamo poesia”, per poi rivelarsi, nell’ultima scena, autore di inquietanti versi poetici sul suo cane morto: è il simbolo tragicomico della scuola italiana. Il mestiere di insegnate è davvero strano, e Starnone lo tratteggia in maniera perfetta.
Premetto che ho letto il libro in una vecchia edizione risalente agli anni 90 spinto dalla curiosità dopo aver visto più e più volte il film "La scuola" di Daniele Lucchetti: e questa è una delle rare volte in cui ho preferito il film al libro. Questo libello, che altro non è che un diario/resoconto di un anno di scuola visto con gli occhi di un insegnante, è un crogiuolo di critiche sulla scuola da parte di un docente palesemente di sinistra iscritto al sindacato: che la scuola, nel corso dei decenni, sia divenuto un colabrodo dove viene buttato dentro di tutto (sia sul piano umano che materiale) è verissimo, ma personalmente non accetto critiche da chi proviene da quell'area politica, perché se abbiamo studenti che vengono a scuola pur non avendo voglia di studiare, presidi manager, burocrazia a non finire e genitori sul piede di guerra grazie ai decreti delegati, lo dobbiamo ad una sinistra supponente che in nome della sua presunta superiorità ha distrutto la scuola italiana che era una delle migliori al mondo in nome di una democrazia e di un finto egualitarismo. Chi è causa del suo male, pianga sé stesso, eh scusate!!!
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