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Non e' il primo libro di divulgazione dell'Autore sui temi della genetica e della paleoetnologia delle popolazioni europee (e non solo), delle migrazioni e delle vicende storiche. Come gli altri volumi fondato scientificamente, con una numerosa serie di note e di riferimenti a testi varii, presentate in una ventina di fitte pagine, alla fine di ciascun capitolo. Da consigliare, soprattutto nel momento in cui riescono fuori nella societa' italiana, a ripetizione, prese di posizione sulle "razze" che non hanno alcuna validita' scientifica. C'e' bisogno di cultura tecnica e scientifica, e di cultura "tout court". Barbujanni da' il suo contributo, in tutte le sue opere. Bella la frase sul retro di copertina: "Risalendo un po' nel tempo, abbiamo senza dubbio tanti antenati in posti diversi; risalendo un po' di piu' ci ritroviamo tutti in Africa: questo e' quello che si puo' onestamente dire su ciascuno di noi."
Una rivelazione. Con linguaggio semplice ed ironico (ma non per questo meno scientifico) l'autore Barbujani ci introduce all'evoluzione umana in Europa. La lettura procede speditamente sino a farci scoprire quanto siano inutili e infondate le assurdità xenofobe che molti politici nostrani usano quotidianamente per colpire altri uomini presunti diversi da noi. Ma in fondo molto più uguali di quanto si pensi! Bravo Guido!
Finirà prima o poi questa vergognosa deriva del nostro paese verso il razzismo? Per fortuna alle idiozie dei nostri politicanti rispondono scienziati come Guido Barbujani:"Volete vedere che faccia ha un immigrato africano? Guardatevi allo specchio. Volete vedere che faccia ha un vero europeo, senza se e senza ma? Troppo tardi, i veri europei, i Neandertal, si sono estinti trentamila anni fa". O premi Nobel come Amartya Sen: "Un senso d' identità può essere fonte non solo di orgoglio e gioia, ma anche di forza e fiducia. Eppure l' identità può anche uccidere, e uccidere con passione. Il sentimento forte di appartenerea un gruppo può in molti casi portare con sé una sensazione di distanza e divergenza da altri gruppi". Insisto: perché non possiamo assistere almeno una volta ad un dibattito televisivo su questi temi, non con gli opinionisti o i soliti giornalai, ma con scienziati, genetisti, linguisti, filosofi? Ho l' impressione che tra pochi anni arriveranno in Italia le ONG, perché siamo un paese che avrà bisogno di aiuto.
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Nel 1933, mentre Hitler saliva al potere, un medico ebreo austriaco, che esercitava la professione a Carlsbad, cercò di ostacolarne il cammino mobilitando la scienza e la politica, e cercandone l'alleanza. Ignaz Zollschan si era già dato molto da fare negli anni venti dall'altra parte dell'Atlantico, tentando di convincere l'American Jewish Committee e Franz Boas ad affrontare le questioni razziali con la fondazione di un centro di ricerche antropologiche a New York. Non riuscì nell'intento, e neanche in Europa trovò adesioni al suo progetto di un'inchiesta internazionale tesa a minare le fondamenta dell'ideologia nazista. Zollschan si mosse instancabilmente fra le capitali del vecchio continente: dall'Accademia delle Scienze di Praga al Vaticano, dove incontrò fra gli altri il segretario di stato, cardinal Pacelli. A Londra, il 20 marzo 1934, di fronte al Royal Anthropological Institute, tenne un'importante conferenza, e per qualche mese sembrò sfiorare il successo. Ma nel generale clima di appeasement nei confronti della Germania nazista, Zollschan dovette accontentarsi di un semplice proposito, assunto dal parigino Institut international de coopération intellectuelle, volto a indagare le basi etno-antropologiche della civiltà occidentale.
Negli stessi anni, precisamente nel 1935, uscì un libro importante, dal titolo We Europeans. A Survey of "Racial" Problems, firmato dal celebre naturalista Julian S. Huxley e dall'antropologo Alfred C. Haddon. Ma altre mani si celavano dietro quelle pagine: in particolare, quelle dello storico della scienza Charles Singer e dell'antropologo Charles S. Seligman, entrambi ebrei, rimasti nell'ombra proprio in quanto tali, nel timore che la loro origine indebolisse autorevolezza e imparzialità. Huxley definirà il libro "un bastone scientifico fra le ruote di Hitler". In esso si stigmatizzava il concetto di razza come "pseudo-scientifico", proponendone la sostituzione con quello di "gruppo etnico", senza tuttavia rinunciare, nel finale, a una nuova classificazione etnica dell'Europa. Tanto Zollschan quanto gli autori di We Europeans rifiutavano (e criticavano aspramente), in quanto "anti-scientifici", l'antisemitismo e i miti "nordico-ariani" nazionalsocialisti, pur ritenendo per contro possibile un'analisi scientifica delle "razze" immune da pregiudizi razzisti.
La genetica impiegherà ancora alcuni anni per smantellare definitivamente le categorizzazioni razziologiche, e lo sa bene Guido Barbujani, che in un'affascinante libro sospeso lungo i millenni, tra le vicende dei neandertaliani e quelle dei migranti contemporanei smentisce, con le armi affilate del genetista, qualsiasi visione monolitica di identità europea. Impossibile è ridurre l'Europa a un'unica cultura, ma altrettanto illusorio è pensare che vi sia, alle sue radici, una formula biologica univoca e invariabile. Da questo punto di vista, né il colore della pelle, né il gruppo sanguigno, né la forma della testa (e nemmeno la capacità di digerire il latte) rappresentano una specialità esclusiva del continente europeo.
Senza contare poi, precisa Barbujani, che gli europei "senza se e senza ma" non ci sono più da almeno trentamila anni: da quanto cioè i Cro-Magnoidi (i nostri antenati) invasero il mondo di Neandertal.
Francesco Cassata
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