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L' Europa nell'antica cartografia - Roberto Borri - copertina
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L' Europa nell'antica cartografia - Roberto Borri - copertina
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2001
1 ottobre 2004
180 p., ill. , Rilegato
9788880681823

Voce della critica

Ha scritto George Duby: " L'histoire s'inscrit sur le sol ". Affermazione tanto indiscutibile al punto da apparire ovvia, ma a ben vedere carica di una sua problematica complessità. Come sia stata la cartografia ad avere elaborato il peculiare linguaggio capace di coniugare geografia e storia, legandole in un nesso di tensioni comuni, e al tempo stesso di rendere quell'incontro sempre cangiante a seconda delle esigenze che la storia ha via via posto e delle risposte che l'immaginazione e la cultura cartografica hanno offerto, è quanto traspare da questa non comune raccolta dei disegni dell'Europa che si srotola dai tempi antichi fino alla fine del XVIII secolo. Un album prezioso per gli storici, per i geografi, per i collezionisti, ancora una volta dovuto alla competenza di Roberto Borri, che aveva già curato un analogo libro sulle carte geografiche dell'Italia, a cui era andato un meritato favore di pubblico e di critica. In quest'ultimo volume è cambiato il taglio cronologico, ampliatosi così da abbracciare il tempo lungo che unisce l'antichità romana alla recente modernità. Ma è cambiato anche il contenuto, ora fattosi attento a documentare i passaggi fondamentali della storia cartografica.

Nelle prime due parti le più antiche ipotesi geografiche sono rese da disegni di ricostruzioni congetturali oltre che dalle riproduzioni a stampa per lo più risalenti all'età umanistica, periodo in cui l'Europa riscoprì le fonti originarie della cartografia greca e romana, emerse dopo il lungo medioevo. Tornò allora alla luce l'impianto tolemaico, un modello di resa matematica della conformazione della terra che sarebbe rimasto per due secoli al centro della cultura dei geografi. Un posto particolare spetta alla celeberrima Tabula Peutingeriana, diagramma stradale più che carta geografica, appartenente al genere degli Itinera picta, in cui la finalizzazione pratica distorce la realtà disponendola su una superficie distesa in orizzontale, punteggiata da toponimi, solcata da strade con le rispettive distanze, abbellita da disegni di palazzi. Risalente agli inizi del IV secolo d.C., quindi fissata in una copia medievale rinvenuta e stampata nel XVI secolo, essa, mentre conferma l'essenzialità nell'Impero romano del sistema viario con i suoi circa centomila chilometri di strade lastricate, distribuite su una superficie corrispondente a trentadue nazioni di oggi, fissa la tipologia della carta per così dire di servizio, concepita per accompagnare il viaggiatore nel suo spostamento.

Una svolta radicale è documentata per il medioevo, un tempo storico la cui distanza dalla cultura dell'antichità è attestata mirabilmente anche dal mutamento totale delle tipologie, e quindi delle funzioni, cartografiche. Le carte perdono la natura di strumenti per uso civile o militare, e diventano veri compendi di un sapere generale: non più misura, ma immagini del mondo. Un mondo omocentrico e cristocentrico, che non può che essere popolato di riferimenti biblici e cosmogonici. Compaiono le raffigurazioni del paradiso terrestre mentre assurgono a posizioni di rilievo assoluto i luoghi santi della cristianità come pure i luoghi del fantastico, fedelmente individuati sulla base dei resoconti di viaggi immaginari e atemporali. Miniaturisti e calligrafi si premurano di circoncingere l'Europa e le terre conosciute con il territorio dell'ignoto, una no man's land dominata dal vasto spazio deserto e impraticabile in ragione dei serpenti e delle bestie feroci che vi vivono.

In questa luce la cartografia medievale non rappresenta un "periodo di decadentismo" (sarebbe stato corretto dire decadenza) come afferma il curatore dell'opera, ma risulta al contrario una smagliante interpretazione che dà corpo a suggestioni pittoriche, a simbologie complesse, a impulsi pedagogici mediati dall'iconografia. Essa si fa espressione sia delle idee diffuse sia del dettato biblico. L'Europa viene raffigurata come tassello di un'ecumene rettangolare, interamente circondata dall'oceano, in cui trova posto il paradiso terrestre, luogo considerato reale ben oltre i limiti del medioevo (ancora nel Settecento dei Lumi lo si dava per esistente) pur essendo incerta la sua collocazione, anche se per lo più era disegnato in un rettangolo nell'estremo est e se ne faceva il punto di origine da cui scaturivano i quattro grandi fiumi, il Nilo, il Gange, il Tigri e l'Eufrate, che dopo essersi immersi nel mare riemergevano nel mondo abitato da uomini conosciuti. È il tempo in cui la cartografia monastica collocava l'oriente in alto e localizzava Gerusalemme e la Giudea nella parte centrale della terra, come per orientare lo sguardo del lettore che doveva convergere verso il punto centrale della storia umana, i luoghi del sacrificio e della redenzione.

Ben documentata al punto da occupare lo spazio maggiore del volume risulta la rivoluzione che si annuncia nel Quattrocento, promossa dalla cartografia nautica che si pone obiettivi circoscritti e concreti costringendo il disegno a rendere conto del reale osservato: i punti focali si incentrano sui contorni delle coste, sull'estensione delle acque e delle terre, sulle distanze da porto a porto. Esemplare in questo passaggio dal mondo biblico e immaginoso alla geometrica rappresentazione della realtà risulta essere un mappamondo celebre, quello approntato nel 1459 da fra' Mauro, camaldolese del convento di Murano, conoscitore degli antichi e al corrente dei viaggi portoghesi lungo le coste africane, che pur tuttavia persistette nel capovolgimento dei punti cardinali, tipico della cultura pretolemaica, mettendo il sud in alto e smarrendo l'orientamento delle terre nell'immensità dell'oriente. Ma fu la riscoperta del corpus geografico di Tolomeo, tradotto in latino all'inizio del XV secolo e integrato con nuove mappe, a introdurre le coordinate della cartografia moderna: i meridiani e i paralleli, l'oriente a sinistra e il nord in alto, il tutto ispirato da un atteggiamento mentale di realismo che espelleva dalle carte e dai mappamondi le oasi di felicità e di consolazione che vi avevano un tempo trovato posto. Non più Isole Fortunate, non più il Paradiso Terrestre ai confini dell'ecumene, non più miraggi, non più angeli "lampadofori" che accompagnavano il moto degli astri sedendo sugli otri da cui fuoriuscivano i quattro venti, secondo la lettera del vangelo di San Giovanni. Non più leggende, né carte imperniate sugli itinerari sacri verso Compostela e verso Roma.

Mentre il segno geometrico si sostituiva al segno disegnato, i viaggi di scoperta contribuivano a loro volta a configurare un'Europa sempre meno approssimativa, frutto, questo, di un'attitudine mentale che tendeva a riprodurre lo spazio geografico nel suo disegno morfologico per farne uno schema di relazioni funzionali. E fu in tal modo che l'Europa divenne una compiuta espressione geografica. Intanto nuove immissioni ne ampliavano i confini. Infatti in età moderna la cartografia non esitò a integrare nel concetto fisico di Europa lo spazio orientale rappresentato dalla Russia, ossia quell'area denominata Scizia che ai tempi di Machiavelli non aveva ancora avuto diritto di cittadinanza nella storiografia.

Da Carlo V a Luigi XIV la cartografia recepisce i principi del nuovo ordinamento politico che prende slancio in Europa. Tutto ciò appare palese dai differenti colori degli areali che contraddistinguono gli stati, come pure dal precisarsi e infittirsi dei toponimi che conferiscono specificità allo spazio europeo, identificato dalla toponomastica e dai segni cartografici del possesso politico. Popolazione e territorio costituiscono un elemento così definito dello stato moderno che tendono a precisarsi e a distinguersi per mezzo di confini sempre più rigorosamente tracciati che danno fisionomia al continente, implicando la costruzione di comunità territoriali interessate alla difesa dei confini, una cintura entro la quale vengono racchiusi legami e interessi. La cartografia cinquecentesca assurge a strumento essenziale per fissare la nozione di frontiera, mentre allo sguardo dello storico si apre un panorama che riflette le cangianti motivazioni geografiche degli uomini. Naturalità e politica si coniugano o si scontrano dando espressione ai contorni continentali, alle divisioni statali, alle localizzazioni demografiche, alle reti idrografiche, ai rilievi montuosi. La cartografia esprime anche le difficoltà di percezione e rappresentazione dei dati ambientali, evidenti nel disegno delle montagne che fino al Seicento sono rese tramite conetti tutti eguali, senza altre specificazioni.

Come un corpo scolpito che esce dalla materia informe fino ad assumere sembianze proprie, l'Europa moderna si libera dalla sua raffigurazione antica, un ammasso confuso di terre disposte a caso, e assume una distinzione analitica anatomica. Le chimeriche raffigurazioni lasciano il campo alla rappresentazione scaturita dai criteri della scienza: la misura matematica e l'ordine geometrico. La geografia, riformata dal cannocchiale, dal quadrante, dall'orologio, entra presto al servizio della politica e il progresso della scienza accompagna e segue l'avanzamento del dominio. Esemplare il caso della Francia sotto Re Sole, che predispone grandi operazioni di rilevamento astronomico-geodetico e di triangolazione del regno avviate sotto la direzione di Gian Domenico Cassini nel 1669, fondando la cartografia scientifica dello stato nazionale. E saggiamente, al punto d'arrivo della modernità, là dove la carta del nostro continente comincia ad assumere i tratti identici a quelli con cui oggi lo pensiamo, si ferma il lavoro di selezione e di cura che Roberto Borri ha svolto per valorizzare un materiale tanto prezioso agli occhi del collezionista quanto fondamentale per lo storico e per il geografo.

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