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scheda di Vercellone, F., L'Indice 1992, n.10
Se l'idea dell'imitatio Christi è dotata di un carattere paradossale, ebbene questa paradossalità sta proprio nell'accostamento improprio, stravagante ma ciò nonostante, cogente della sfera estetica a quella religiosa. È quanto suggerisce - con la forza che deriva dalla fine ed esauriente considerazione dei testi - questo bel libro sull'estetica kierkegaardiana. Qui viene additata l'inscindibile alternativa e complementarità di estetico e religioso che caratterizza il pensiero kierkegaardiano (mentre l 'etica viene in questo quadro a svolgere un ruolo di minore impegno). Bisogna dire di più: l 'estetico costituisce il vero e proprio conio da cui per prossimità e distanza scaturisce l 'esperienza religiosa (così che questa polarità sembra venire a configurarsi come vero e proprio riepilogo dell'evento di Cristo, della kénosis come salvazione). È dunque solo dallo sprofondamento nell'apparenza e nelle sue malìe che si può risalire verso la verità religiosa. Dalla hybris soggettiva. dalla sempre reiterata ricerca estetica della soddisfazione di sé, scaturisce il più totale rovesciamento: il volgersi a Dio, in atteggiamento di adorazione un atteggiamento dunque passivo (del resto ogni comunione con il Dio cristiano è possibile solo nella passione). Qui prende forma l'aut aut; ed è in questo senso che Kierkegaard si dichiara poeta cristiano; egli annuncia così - senza possederla , e anzi ponendosi sul piano dell'illusione - la verità religiosa.
Non è tuttavia sufficiente formulare teoricamente la dialettica fra i due momenti, ma è necessario approfondirla e farla propria sino a vuotare completamente il calice dell'estetico, che è insieme il luogo della soddisfazione e della più estrema disperazione. È l'orizzonte del possibile quello che si dischiude dinanzi all 'esteta, che può vestire e dimettere molti abiti e incarnare molti personaggi. L'estetico dunque trasforma l'universo nell'immagine non senza essere però prima transitato attraverso un processo di approfondimento di se stesso, che lo conduce dal Don Giovanni mozartiano, vera e propria incarnazione del desiderio nella sua natura prepotente, puntuale e inappagabile, che sempre si rinnova a Johannes il seduttore che ha ormai lasciato dietro di sé il momento dell 'appagamento per trasferirsi, per così dire, compiutamente nell'universo dell'apparenza; questo, che ha lasciato dietro di sé l'immediatezza per la riflessione, volge verso la malinconia e la disperazione. È la catarsi, tragica, dell'apparenza estetica che duplica se stessa e può così riconoscersi.
È un nuovo inizio, e non solo poiché a questo punto l 'universo dei possibili lascia il passo a quello che potrebbe definirsi l'indicativo della fede. È un nuovo inizio anche dal punto di vista storico-filosofico, per ciò che concerne la filosofia moderna, in quanto la disperazione viene a sostituirsi al dubbio metodico cartesiano, quale momento del cominciamento.
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