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recensione di Carchia, G., L'Indice 1989, n. 2
A partire dall'assolutismo estetico romantico l'estetica si è proposta più volte come luogo di possibile risoluzione e conciliazione delle antinomie dello spirito. I cinque studi che compongono questo libro di Leonardo Amoroso si rapportano tutti a questa prestesa dell'estetica, di mediare e surrogare le aporie della ragione; quasi essa fosse di per sé il risarcimento cercato per ciò che Heidegger ha chiamato il declino e il congedo della metafisica. Che non si tratti, al tramonto della metafisica, di riproporre come positiva la formula idealistica dell'utopia estetica, è quanto annuncia già il titolo. Le ricerche di Amoroso non sono volte ad evidenziare, come spesso accade, una funzione consolatoria dell'arte rispetto alla "prosa del mondo". Un simile ruolo sarebbe infatti complementare allo stato di crisi metafisico: mentre l'estetica non va considerata come l'Altro rispetto alla onto-teologia della tradizione ma come un momento fondamentale della sua stessa costituzione.
Il libro di Amoroso ricostruisce la storia di questo mutuo implicarsi di ragione e immaginazione, di senso e intelligibilità, a partire dalla critica kantiana. Rispetto a Kant, porre l'estetica come "problema" anziché come soluzione significa muoversi contro corrente nei confronti di tutta la esegesi idealistica, che pensava vi si bandissero le aporie del criticismo. Nel saggio "Il primato della ragione estetica", fulcro dell'intera trattazione, Amoroso ripercorre i momenti che portarono, in seno all'estetica settecentesca ed in Kant, all'affermazione di tale formula. " Ragione estetica" è un'espressione paradossale, gravida di una tensione ambigua, che sembra alludere ad un passato represso e ad un futuro possibile di una razionalità, quella metafisica, con cui l'estetica è in fondo solidale proprio nel presente. Per questo motivo, il libro respinge tutte le possibili interpretazioni "ultrametafisiche" che sono state attribuite all'estetica in base all'affermazione di un simile "primato": da quella romantica, che scorge nell'arte la mediazione fra natura e libertà, a quella heideggeriana, che individua nell'immaginazione trascendentale la scoperta di una finitezza temporale dell'esserci, fino a quella stessa originaria di Kant, che vi legge la cifra di una destinazione sovrasensibile dell'uomo.
Proprio muovendo da Kant, si dovrebbe invece imporre, secondo Amoroso, una diversa interpretazione dell'estetica, nuovamente critica e in un certo senso trascendentale. In quanto "problema", essa non si imporrebbe più come esperienza di una riconciliazione sempre fittizia, n‚ come ambito utopico-allegorico del passaggio, della transizione; piuttosto, essa dovrebbe valere come luogo dell'"esperienza del senso", ovvero, simmetricamente, luogo del "senso dell'esperienza".
In altri termini, grazie alla sospensione di realtà che vi si realizza, grazie al rivelarsi di un dominio dell'apparenza che precede l'ordine del reale, lo spazio estetico fornisce la possibilità di scoprire in certo modo le fonti di tutte le nostre tematizzazioni, il punto d'origine delle nostre convenzioni e delle nostre obiettivazioni. In questo modo, l'estetica torna ad assolvere una funzione eminentemente critica: quella cioè di lasciare intravvedere il campo di una possibile esperienza non metafisica, un'esperienza del "senso".
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