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Ascoltato come audiolibro ed è stato un piacere ritrovare il maresciallo Fenoglio e i suoi collaboratori! Letto da Carofiglio è ancora più coinvolgente, anche se la parte dell’interrogatorio di López è a mio avviso troppo lunga; tanti dettagli sulle attività illecite collegate solo in parte e in secondario modo con la vicenda del bimbo rapito.
Non sempre si trova un tesoro Ripropongo la recensione perchè precedentemente è apparso erroneamente con 5 stelle. Il libro di Carofiglio non l’ho cercato io ma mi ha trovato lui, quindi per la fama dell’autore mi sono adattato alla lettura. Sono rimasto sorprendentemente deluso, ho trovato i personaggi stereotipati e senza anima, non ho visto una trama convincente a parte un vago scimmiottare di Saviano. Non do una stella perché nella parte finale si nota una parvenza di trama e si colgono atmosfere e sensazioni, anche se pur solo abbozzate ma che suscitano emozioni e ricordi.
Ho finito di leggere "L'estate fredda" e mi é piaciuto. Anche l'espediente della domanda e risposta non influisce sulla tensione del racconto, anzi lo enfatizza. Sono solitamente prevenuto verso Carofiglio ma questo libro mi ha soddisfatto.
Recensioni
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«Fenoglio sapeva benissimo che quel caso lo avrebbe ossessionato fino a quando non fossero riusciti a risolverlo. Il problema era: non esisteva nessuna certezza che sarebbero riusciti a risolverlo. Non esiste mai».
Qualunque investigatore, anche quello più indurito, ti direbbe che c’è una cosa a cui non si abitua mai: la morte violenta di un bambino. Questa frase ad effetto conclude uno dei capitoli più drammatici del romanzo, dove il protagonista si chiede quali siano i confini morali che pattuiscono la liceità dell’abitudine al male da parte delle forze ordine. Sarà questo il tema centrale del romanzo, ambientato nella Bari del 1992, appestata dagli scontri interni alla Sacra Corona Unita, un virus di cui nessuno conosce la cura.
Ci prova il maresciallo Fenoglio a porre un argine allo straripare del male, un cancro che ha irrimediabilmente infettato Bari tra il quartiere CEP ed Ezzelino, dove è in corso una lotta tra Vito Lopez detto “o’ vuccier” (il macellaio) e Don Grimaldi, boss cocainomane paranoico a cui è stato rapito il figlio. Possibile che Lopez abbia avuto l’ardire di un’azione tanto eclatante? A Fenoglio spetterà indagare.
Il carabiniere è il protagonista della serie poliziesca di Carofiglio, oggi giunta al secondo capitolo, una saga che scorre parallela a quella dell’avvocato Guerrieri, con cui l’autore pugliese è diventato celebre agli inizi del terzo millennio, dando vita a una delle prime forme di legal thriller all’italiana. Sia Fenoglio che Guerrieri sono due facce della stessa medaglia, degli alter ego dello scrittore pugliese, magistrato e procuratore anti-mafia che ha appeso la toga al chiodo per dedicarsi alla letteratura. Inevitabile quindi che in ogni libro di Carofiglio paia emergere una prospettiva auto-biografica, un’esperienza destrutturata e rielaborata attraverso due personaggi che, se sommati nelle loro vicende, restituiscono fedelmente ciò che è stato il mondo della malavita e il funzionamento della giustizia negli anni ‘90. La capacità di mischiare invenzione, cronaca ed esperienza personale è il segreto del successo di Carofiglio, di cui il pubblico italiano difficilmente si stancherà proprio per il modo in cui riesce a rivivere quegli anni terribili, di paura, dolore ma anche orgoglio, senza sacrificare il gusto innato per la narrazione.
È l’estate del 1992 ed è in corso la tristemente nota guerra di mafia che porterà all’uccisione di Falcone e Borsellino. Un’estate fredda, come viene ribattezzata da Fenoglio, carabiniere sabaudo trapiantato a Bari, amante delle letture colte e della musica classica, suggerendoci che le metafore meteorologiche sono sempre le più efficaci, citando, a sua insaputa, Gadda. Carofiglio caratterizza un personaggio che dialoga spesso con referenti letterari più o meno celati, in tal senso la parte più avvincente del libro, ma anche la più straniante, è quella dedicata ai verbali delle confessioni di un collaboratore di giustizia. Un’occasione per sciorinare un’affascinante digressione meta-testuale.
Fenoglio e il capitano Fornaro discutono dei verbali come forma letteraria, prendendo in prestito la definizione di “terrore semantico”, coniata da Calvino per descrivere l’alienante neutralità di quei resoconti ricchi di brutalità, elencati come fossero dati di per sé privi di significato. Un’antilingua che oltre a prendere le distanze dalla concretezza del mondo reale, rappresenta, attraverso una discorsività indifferente alle emozioni, l’assuefazione al male. Fenoglio può sopportare tutto, ma non la resa preventiva e si ribellerà al potere anestetizzante di quelle parole incapaci di restituire il dramma di una popolazione schiacciata dal sangue e dall’omertà.
Un’ottima prova per Carofiglio anche stavolta capace di conquistare i lettori con una semplice storia di mafia, a cui tuttavia non mancano colpi di scena, che è soprattutto un avvincente pretesto per una riflessione linguistica, omaggiando il maestro Gadda e la parola, quella che sembra mancare, quella che salva o che condanna per sempre.
Recensione di Matteo Rucco
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