L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Promo attive (0)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"L'estate che perdemmo Dio" è un titolo bellissimo, stavo in libreria e mi chiedevo chissà cosa accadde quella estate, me lo chiedo ancora oggi che il libro l'ho letto purtroppo e mi sono annoiata moltissimo. Sono nata nel sud e vi garantisco che ci sono splendide donne anziane coraggiose e amorevoli e non solo vecchie brutte ossessionate dal vivere in simbiosi con i figli, ci sono uomini e donne che anche vivendo lontani dal paese di origine sono sereni e felici. Mi dispiace tanto.
Spiace doverlo dire ma a mio avviso questo libro appartiene alla categoria dei libri brutti. Quella che dovrebbe essere una concezione di stile di scrittura, con il ritorno al passato e al presente con i racconti di una bambina di come vede lei la vicenda, mette in mostra una confusione assoluta, una serie di ripetizioni nauseanti, una descrizione di personaggi ripetuta che non so come possano interessare il lettore. E pensare che la vicenda poteva portare a galla un problema attuale. Ho letto da qualche parte che vogliono fare un film tratto da questo libro. Non so, forse il film può anche riuscire. Chissà. Certo è che secondo me il libro in questione è veramente brutto.
Una scrittura matura, e questo colpisce vista la giovane età dell'autrice, un libro che spero abbia fortuna, perché sincero, vero, lontano dai prodotti commerciali che strizzano l'occhio. La stessa durezza con cui Rosella Postorino scrive la prime pagine è un atto di coraggio che, ne sono convinto, verrà premiato dai lettori e dal tempo.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'estate che perdemmo Dio è il difficile secondo romanzo della rigogliosa Rosella Postorino. Due anni fa era uscito infatti La stanza di sopra (Neri Pozza), accolto da buon consenso della critica militante. Si trattava di un libro singolare, di atmosfera creata da una lingua astratta, quasi gelida; a tratti, però, quasi lirico nella sua diffusa cupezza. A distanza di due anni, le strutture morfosintattiche di Postorino sono anche più raffinate; e soprattutto c'è una storia forte che, come nel libro d'esordio, parla di fuga.
Stavolta però la fuga non è individuale, ma di famiglia: il padre Salvatore, la madre Laura due sorella: Caterina e Margherita. La fuga è da Nacamarina, dalla 'ndrangheta, annunciata con un clamoroso incipit: "Chi focu chi 'ndi vinni. La frase fu pronunciata da zia Nuccia, nel corridoio, non troppo distante dall'ingresso, la mano sulla testa, poi era scivolata sulla guancia, aveva tappato la bocca, come per impedire di pronunciarla ancora, una frase che, per anni, per sempre, a ripensarci Caterina avrebbe avuto i brividi, e forse anche sua zia, non lo sa, non gliel'avrebbe mai chiesto". Caterina, dodici anni, è il punto di vista scelto dall'autrice per sviluppare la storia. L'artificio è di notevole difficoltà: per quanto ancora piuttosto giovane, è da tempo che Postorino non ha più dodici anni. Eppure la voce di Caterina suona autentica, al modo che del tutto verosimile è la sua attenzione ai dettagli, alle sfumature delle persone, delle cose, degli eventi che le capitano attorno. A complicare le cose, il tempo della narrazione è diviso fra un passato di morte cruenta e il presente dell'emigrazione forzata in Altitalia, sito concreto e intanto, da subito, anche luogo del pensiero, del silenzio, di colpe inconfessabili e inconfessate. L'adolescente Caterina ha lo sguardo feroce di Rosella Postorino. Adulta prima del tempo, osserva e intende più di quanto gli altri intuiscano. Alla tragedia iniziale se ne aggiunge un'altra: la morte dello zio 'Ntoni, che costringe il padre Salvatore al rientro nella natia Nacamarina per i funerali. Il romanzo offre infine, non senza qualche sorpresa, una specie di timido happy ending, che il recensore ha l'obbligo di non rivelare.
Qualche parola ancora sulla lingua di Postorino. Senza indulgere a finti mistilinguismi italodialettali per fortuna già passati di moda, la scrittrice adopera il calabrese per dare ulteriore credibilità ai personaggi. D'altro lato, la costruzione del periodo e soprattutto il ritmo e la tensione del racconto presentano una varietà desueta nel romanzo italiano recente. Ricorda Daniele Barbieri in Nel corso del testo (Bompiani, 2004): "Il testo deve suscitare curiosità, aspettative, e poi gestirne oculatamente la soddisfazione". Il secondo romanzo di Rosella Postorino offre tutto ciò in quantità abbondanti, e il lettore ne è grato. Ancora, questa Estate è anche una stagione di sensi: quelli dei protagonisti e quelli di paesaggi costruiti con buon gusto musicale e pittorico. Siccome questo è davvero un romanzo del suo tempo, non sfugge tuttavia a un difetto già notato in autori più o meno coetanei di Postorino: è troppo lungo. 344 pagine sono, per esempio, più o meno la lunghezza della Trilogia degli antenati di Calvino, scritta d'altronde in un tempo in cui la soglia d'attenzione del lettore era più alta che ora. Salvo questo rilievo, L'estate che perdemmo Dio conferma i talenti di una scrittrice in crescita se non, ma qui si eccede in simpatia per l'autrice, forse già matura.
Giovanni Choukhadarian
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore