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Essere fuori di sé. Saggio sulla soggettività estatica - Alessandra Cislaghi - copertina
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Essere fuori di sé. Saggio sulla soggettività estatica
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Essere fuori di sé. Saggio sulla soggettività estatica - Alessandra Cislaghi - copertina

Descrizione


L’espressione “fuori di sé” indica nel linguaggio comune uno straniamento dalla situazione ordinaria, dal semplice stupore sino alla pazzia. Filosoficamente quella medesima espressione significa la condizione specifica del vivere umano, decentrata già rispetto all’identità biografica: l’io cerca se stesso, dunque non è in sé. Il saggio riannoda i fili di questa costitutiva dislocazione a partire da alcuni miti: Eva, Narciso, Orfeo, Psiche, l’eros platonico. Lo stato eccentrico dell’io rispetto a se stesso implica la natura del corpo e si manifesta in modo estremo nelle esperienze d’amore e di follia, sino all’estasi. La costellazione tematica si affida, in particolare, ad alcuni passi celeberrimi di Kierkegaard intrecciati alle pagine contemporanee di Marion e Henry e si disegna attraverso le analisi di Jaspers, Merleau-Ponty, Levinas, Sartre e Blanchot, tutti attenti alla soggettività estatica. L’itinerario giunge a interrogare lo stato di grazia di chi può finalmente dire “io sono”.

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Dettagli

2013
31 gennaio 2013
Libro universitario
148 p.
9788857514185

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Carlo Catarsi
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Per evidenziare in termini essenziali il senso costruttivo di questo contributo, mi riferirò - "a contra" - ad un'emergente "vogue", che si distingue per decostruire con disinvoltura categorie concettuali come "io" e "coscienza", il cui significato risulta da sempre basilare nella connotazione dell'idea di "persona". In questa deriva hanno al momento particolare rilievo, ad esempio, due prospettive teoretiche inizialmente distanti, ma tuttavia convergenti (ciascuna di esse "via propria") nel togliere fondamento ad alcune categorie concettuali costitutive del "principio persona". Mi riferisco ad un certo totalizzante fisicalismo nelle neuroscienze e, su altro versante, a sistematiche riproposizioni di "annullamenti dell'io", derivati dal pensiero mistico di varie epoche. Evitando tangenti riduttive, la Cislaghi assume invece il "sé" come polo inscindibile di intenzionalità simultaneamente dirette all'interno ed all'esterno di orizzonti autoreferenzialmente già tracciati e consolidati nelle "regioni" dell'affettività, della conoscenza, della moralità e dell'esperienza estetica. "L'io è dato per grazia - essa scrive -,non si autopone, si sa dipendente, cionondimeno la sua spontaneità gli deriva dall'indipendenza rispetto a qualsiasi esteriorità che non gli sia già intima [...] Il sé inabita e trascende l'io. E l'io che si sa estatico, che si compiace di essere posto da altro e quindi liberato dalla cura di sé, come preoccupazione di adeguatezza all'esteriorità, ha un nome proprio nell'ecceità e si scopre capace di dire 'io sono', dinanzi al sé che lo ha posto e di fronte all'altro che non lo deve giustificare all'esistenza" (pp. 147-148). Fra altre evocazioni di alta qualità filosofica, c'è qui una chiara eco della "sesta via", prospettata da Maritain in "Ateismo e ricerca di Dio" (Massimo, Milano, 1982,p. 95 e sgg.). Al rinnovato tendersi di certi fili, molti tessuti tengono.

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Aldo Magris
Recensioni: 5/5

"Essere fuori di sé" esprime il compito che all'io è imposto per "diventare" ciò che è. "Chi dice io coglie in sé medesimo uno scarto, qualcosa che non si risolve tutto in sé, neppure con l'aggiunta del livello che non giunge alla coscienza". Ci vuole allora una "dislocazione", per cui "si procede in direzione di sé passando attraverso ripetute uscite dall'io". Un cammino non facile, che affronta diversi rischi. Uno è quello di Narciso che affoga nel gorgo identitario; ma è proprio l'identità che gli manca, poiché egli non si riconosce nella sua immagine sull'acqua. All'opposto quello di Orfeo che va solo alla ricerca dell'altro che gli manca, e così dimentica sé stesso. L'io "estatico", che sa realizzare sé stesso in altro, è invece "l'esperienza dell'uscir fuori di sé, liberandosi dal dominio vorticoso del proprio io e mantenendo nel contempo una profonda identità autocosciente"; è "un Narciso nuotatore, che non affoga". Il rapporto interpersonale è il campo in cui può costruirsi, o meno, quella relazione positiva con l'altro grazie alla quale l'io trova e conferma se stesso. Infatti l'io è "soggetto incarnato", è corpo che ha nella propria "carne" l'elemento ove si intreccia il corpo proprio e l'esterno: un pensiero di cui l'A. segue l'evoluzione da Feuerbach a Levinas. Ora, nella relazione fra soggetti incarnati "l'altro è quasi me eppure non me, un non-io che mi delimita, e così anche mi riconosce". Qui l'A. si contrappone alla tesi di Sartre, Henry, Levinas, che vedono nella relazione con altri anzitutto la negazione, il conflitto, e in particolare lo scacco dell'io nel tentativo si immedesimarsi nella vita dell'altro, l'impossibilità di realizzare compiutamente il desiderio nell'amore. Seguendo Marion, sottolinea che bisogna uscire dallo schema dell'amore come mancanza da compensare: il desiderio non è solo inesausta brama di appropriazione: non il possesso, non la fusione vanno perseguiti ma il "compiacimento" reciproco che è libertà e grazia.

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