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Lessi "Los ejercito" non appena apparso in Colombia. Un romanzo splendido. Il migliore letto in quell'anno e il più originale tra gli scrittori e scrittrice contemporanee in Colombia. Evelio Rosero è un autore nel pieno della sua maturità letteraria. Tutte le sue opere "Juliana los mira", "Mateo solo", "El aprendiz mago", ""El incendiado" dimostrano una personalità chiara e un linguaggio appropriato. "Los Ejercitos" ha vinto il premio Tusquets Editores e l'Independent Foreign Fiction Prize. Premi meritati che riconoscono non solo "Gli eserciti", ma anche una traiettoria coerente. Neri Pozza fa bene a comprare i diritti delle opere di Evelio Rosero e a tradurle all'italiano. È una scelta commercialmente corretta e uno splendido regalo a lettori e lettrici italiane.
La traduzione di Roberta Bovaia trasferisce sapientemente nei lemmi italiani i quadri d’immagine della scrittura sottile, essenziale di Rosero che, per densità semantica, meriterebbe dal Lettore esigente la lettura in purezza, direttamente in spagnolo. Nodi espressivi relativi al luogo -«[paese] traboccante di trucchi; «i gradini che conducono verso l’ignoto, questo paese»; «Se questo paese se n’è andato, la mia casa no»- o riguardanti soprannomi («Ehilà», il venditore di empanadas) e nomi («Sopravvissuti», i gatti di Otilia) svelerebbero connotazioni nascoste/palesi. Ad es. quel termine drammatico, «scomparsi», persone uccise dovunque si trovassero o svanite nel nulla, che, malgrado Eserciti sia ambientato in Colombia rimanda ad un’altra triste realtà della nostra Storia contemporanea, quella delle vittime del potere militare in Argentina negli anni Settanta. Folgorante la riflessione lucida, finalmente consapevole -«E’ un foglio bianco, Dio. Un foglio in cui ci possono stare tutti i nomi che quelli vogliono»- da parte di Ismael per troppo tempo ritenutosi esonerato da responsabilità, avulso dal contesto della guerra. Se leggessimo Eserciti come una sceneggiatura immaginando trasposte su pellicola molte fluide inquadrature descrittive (rovina crescente delle strade macchiate dal sangue e dal rosso dei gerani; folla dei profughi; dalle mani fastidiose del dott. Orduz allo zoom sulla mano di Ismael sul ginocchio di Geraldina; dagli alberi da frutto appoggiato ai quali Ismael spia la casa accanto, alla scena finale di depravazione) riconosceremmo in tali frames, sogni/ricordi/desideri/liberatoria pazzia, il simbolico. Si leggono come sovraimpressioni alla Ejzenstejn (non al fine d’una utopia di progresso, bensì testimonianza d’una consapevolezza di regresso) le visioni di Ismael sconvolto dalla crudeltà crescente dei propri simili. Linguaggio visivo quello di Eserciti. Gli gridano ridendo «Non è crollato il mondo, professore», ma a Ismael, è crollato, senza speranza.
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