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Montanelli diceva che Ansaldo andava munto ogni mattina. Il bisogno di scrivere era per lui irrefrenabile, più di un esercizio naturale, un'esigenza fisiologica. E questo rimase vero anche quando da redattore divenne direttore. Basti pensare al quindicennio abbondante in cui, a partire dal 1950, guidò "Il Mattino". Il giornalista genovese non si limitava a impostare il giornale, o a dettare gli editoriali importanti, ma con continuità produceva commenti, stelloncini, varietà, rubrichette, articoli di terza pagina, note di costume, rievocazioni storiche. Tanti a Napoli compravano il quotidiano locale soltanto per leggere l'articolo di Ansaldo. I giornali sono per definizione effimeri, pensati per durare ventiquattro ore; pure, gli interventi ansaldiani reggono assai bene anche a distanza di decenni. Questo non dipende solo dal profondo mestiere che in essi traluce, ma rimanda a una robusta capacità evocativa. Sono doti che si apprezzano pienamente leggendo questo volumetto, dove sono raccolti alcuni articoli dedicati a Garibaldi, scritti tra il 1949 e il 1969. In queste pagine rifulge il fiuto storico dell'autore, capace di cogliere nel dettaglio un elemento generale, la sua capacità di penetrazione psicologica, che lo porta a riepilogare, in un motto o in un gesto, una personalità, il realismo, che ne guida con sobrietà l'analisi. Ansaldo, come ricorda Francesco Perfetti nell'introduzione, era un conservatore, eppure per l'eroe dei due mondi sentì sempre una forte e istintiva simpatia. In questo pesava certo il fascino del condottiero romantico, ma va considerato anche un altro aspetto, che travalica le appartenenze politiche e rimanda a una matrice risorgimentale. Garibaldi nella sua azione aveva privilegiato l'unità dell'Italia, obiettivo che aveva fatto premio su altre convinzioni; e questo patriottismo disinteressato non poteva non piacere ad Ansaldo.
Maurizio Griffo
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