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Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania (1558-1611). Studi e documenti
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2
1999
1 gennaio 1999
XIV-286 p.
9788871664446

La recensione di IBS

Per «eresia italiana» s'intende un atteggiamento intellettuale di ispirazione umanistica, lontano sia dal cattolicesimo tridentino che dalle confessioni protestanti, caratterizzato da un ideale di vita conforme all'esempio di Cristo, dalla tolleranza nelle questioni di coscienza e dalla critica del dogma trinitario. Un gruppo ereticale italiano prese forma nell'esilio in terra svizzera, quando il supplizio del medico spagnolo Michele Serveto portò alla luce il conflitto con Calvino e con la Chiesa riformata. La discussione che allora si accese fu chiusa bruscamente nel 1558, con la fuga in Polonia dei piemontesi Giorgio Briandrata e Gian Paolo Alciati e del calabrese Valentino Gentile. Seguirono nel campo del protestantesimo polacco anni decisivi: se la Riforma consolidò nel complesso il vantaggio acquisito, movendo nella prospettiva di un concilio nazionale, d'altra parte uno scisma sancì la separazione dell'anabattismo antitrinitario (arianismo) dal tronco del protestantesimo; inoltre gli sforzi della nunziatura conseguirono il risultato di allontanare dal regno gli stranieri eretici, privando del suo rifugio e mettendo in fuga ancora una volta il vecchio Bernardino Ochino. Altri paesi ospitali si offrivano nello spazio dell'Europa centro-orientale: la Transilvania, un principato nella duplice dipendenza asburgica e turca, dove all'incertezza politica e al pluralismo etnico corrispondeva una varietà di confessioni e di istituzioni ecclesiastiche; e la Moravia, un marchesato autonomo nell'ambito della corona boema, dov'era consentita l'esistenza di una forte comunità anabattista e d'innumerevoli sètte. Un più stabile gruppo di esuli si costituì a Cracovia negli anni intorno al 1580: ne era punto di riferimento e sostegno il medico veneziano Niccolò Buccella, insieme ad un suo collega, Marcello Squarcialupi da Piombino, e al teologo Fausto Scozzini da Siena. Ma sul finire del secolo questa fragile vita di intellettuali fuori dalla patria dava ormai segno di stanchezza: l'idea del ritorno spingeva alla riconciliazione con le autorità ecclesiastiche e civili, al pentimento e all'abiura.

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