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Anno edizione: 2021
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recensione di Magrelli, V., L'Indice 1998, n. 9
"Quanti Giove esistevano nell'antichità? Anche lo scrittore Apollinaire fu un Giove plurimo, senza padre, nato in una città straniera, che raccolse sotto uno pseudonimo, in giro per il mondo, tante eredità (...) Per questa straordinaria mobilità, per questo rimanere uno nella diversità, un 'singolare plurale', nessuno dei poeti contemporanei può stargli accanto. Uno dei suoi simili bisognerebbe forse cercarlo tra pittori o musicisti: Stravinskij, che scrive "Oedipus Rex" e "Pulcinella", o Picasso, che dipinge i "Saltimbanchi "e "Guernica".Il destino del poeta riponeva in lui, con tutte le possibili connotazioni, dalle più sublimi alle più umilianti, tutto ciò che rende sempre raro e prezioso l'uso sociale della libertà letteraria".
Questa lunga citazione di Giovanni Macchia si rende indispensabile per inquadrare la figura di Apollinaire, una fra le più singolari e amate della letteratura francese contemporanea. La proliferazione, la divaricazione, restano infatti il segno caratteristico di tutta la sua opera, lanciata nell'impresa di decidere, come recita quel manifesto di poetica che è la "Jolie Rousse", "la lunga controversia / tra tradizione e novità / tra Ordine e Avventura". Perché potesse compiersi il faticoso transito dal simbolismo alle avanguardie, perché fosse coniato (se non ancora usato) il termine "surrealismo", perché Dada venisse accolto a Parigi, serviva evidentemente uno scrittore simile, in grado di praticare - l'espressione è sempre di Macchia - "un regime di assoluta libertà".
Erudito e "brocanteur", critico d'arte e giornalista, prosatore e poeta, mentore della pittura cubista e protagonista della vita culturale parigina, Apollinaire mise in atto le più audaci strategie testuali con l'irridente disinvoltura del classico. Così, nella sua produzione, si trovano a convivere il gusto per i bestiari medievali e la passione per il linguaggio tecnologico, il gioco pornografico e l'amore per l'esperienza bellica, lo studio del folclore e i progetti di rivoluzione tipografica.Tipico esempio di questa duplicità è la raccolta di versi "Alcools", apparsa nel 1913.Elegia e sperimentalismo, lirismo e sovversione, fanno qui tutt'uno, come si vede dal fatto che questo libro, pur abolendo per la prima volta la punteggiatura - e dunque richiedendo al lettore un impegno decisamente considerevole - abbia avuto in Francia il più alto numero di tirature del secolo (la notazione è di Michel Décaudin).
Ancora qualche anno, e le poesie di "Calligrammi" sveleranno, dietro l'amabile cantore del tempo che scorre, un vertiginoso teorico della poesia visiva, il solo forse a raggiungere la densità concettuale di un Francis Ponge. È in questa prospettiva, ben chiarita da un memorabile saggio di Alain-Marie Bassy del 1973, che occorre dunque leggere i racconti di "L'Eresiarca & C.", proposti da Guanda nel 1987 e adesso ripresentati da Garzanti, nella medesima, bella traduzione di Franco Montesanti.
Come si è detto, sia la paternità, sia l'identità nazionale rimasero per Apollinaire lungamente incerte e oscure. Inoltre, in un'epoca di acceso patriottismo, le sue origini italo-russo-polacche alimentarono un insistente senso di esclusione. Se la partita onomastica si risolse con il passaggio da Wilhelm Kostrovitzky a Guillaume Apollinaire, solo l'arruolamento poté sancire la completa francesizzazione dell'autore.Ebbene, in questo tortuoso cammino, il primo testo a essere pubblicato con lo pseudonimo definitivo sarà appunto, nel marzo 1902, "L'Hérésiarque".Otto anni più tardi, con lo stesso titolo, compariranno sedici racconti, salutati da una discreta accoglienza al Prix Goncourt.
Un dettaglio del genere dimostra l'interesse di queste brevi prose, nelle quali il gusto antiquario si mescola alla più spiccia goliardia. Certo, però, sarebbe inopportuno sopravvalutarne la portata.Si tratta di brani basati sulla ricostruzione delle più diverse atmosfere culturali, nel segno di un'intensa riscoperta dell'esotismo europeo.La variegata geografia spazia infatti da Roma ("Il sacrilegio "e "L'eresiarca") a Parigi ("L'ebreo latino"), dalla Bosnia ("L'Otmika") alla Mitteleuropa ("Il passante di Praga"), dall'Italia ("I pellegrini piemontesi") alla Germania ("La rosa di Hildesheim"), su su fino alle Ardenne ("Que vlo-ve?") e all'Inghilterra ("Il marinaio di Amsterdam").
Tra le poche eccezioni, spicca per accensione visionaria la seconda delle "Tre storie del castigo divino", intitolata "La danzatrice. "Vi si narra la fine di Salomé, vittima di un atroce contrappasso. Dopo la morte del Battista, la donna si trasferisce sulle rive del Danubio, dove, in un giorno d'inverno, cede alla tentazione di danzare sulle acque gelate. Tra echi di Flaubert e Mallarmé, la "pointe" di Apollinaire si trasforma in stemma, chiudendosi su un'immagine di potente, incongrua bellezza: "Ad un tratto il ghiaccio si ruppe sotto i suoi piedi, e lei sprofondò nel fiume, ma in modo tale che, essendo il corpo bagnato, la testa restò al di sopra dei ghiacci di nuovo uniti e risaldati. Dei grandi uccelli dal volo pesante furono spaventati da orribili grida, e quando l'infelice tacque, la sua testa sembrava mozzata e posata su un piatto d'argento. Venne la notte, chiara e fredda. Splendevano le costellazioni. Bestie selvagge venivano a fiutare la morente che le guardava ancora con terrore. Infine, con un ultimo sforzo, distolse gli occhi dalle orse della terra per riportarli verso le orse del cielo e spirò. Come una gemma spenta, la testa restò a lungo al di sopra dei tersi ghiacci che la circondavano".
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