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Eravamo tutti vivi - Claudia Grendene - copertina
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Eravamo tutti vivi

Descrizione


Con molta sapienza narrativa e una lingua agile e precisa Claudia Grendene, qui all’esordio, ci restituisce il ritratto di una generazione quasi invisibile, passata dai sogni di rivoluzione all’incertezza, dagli studi universitari al precariato, dai desideri di libertà alla frustrazione. Un romanzo doloroso e vero, abitato da persone nelle quali ci riconosciamo.

«Chiara non aveva risposto a quell’email e adesso Max era morto. E le domande arrivavano a turbarla ora con la stessa velocità con cui all’epoca le aveva lasciate sfuggire»

Gli amori e le morti, i figli e le fughe, i divorzi e i tradimenti. Eravamo tutti vivi racconta la vita di sette amici tra il 1993 e il 2013, nei vent’anni in cui in Italia e nel mondo tutto cambia: i movimenti di massa diventano effimeri, la globalizzazione tocca e ferisce, il neoliberismo mostra il suo volto disumano. Sullo sfondo di una città, Padova, che si trasforma attraverso le vicende dei centri sociali, i cambiamenti politici e gli scontri sugli immigrati di via Anelli, le esistenze dei personaggi scorrono, si incrociano, si allontanano. Quando si ritroveranno al funerale di Max saranno costretti a guardarsi indietro, e a domandarsi: «Che cosa abbiamo fatto delle nostre vite? Delle nostre speranze? Dei nostri desideri?» Con molta sapienza narrativa e una lingua agile e precisa Claudia Grendene, qui all’esordio, ci restituisce il ritratto di una generazione quasi invisibile, passata dai sogni di rivoluzione all’incertezza, dagli studi universitari al precariato, dai desideri di libertà alla frustrazione. Un romanzo doloroso e vero, abitato da persone nelle quali ci riconosciamo.
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Dettagli

2018
22 febbraio 2018
288 p., Brossura
9788831728522

Valutazioni e recensioni

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Gianluca
Recensioni: 5/5

bel romanzo, con le storie di unversitò e amori

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Giuliana
Recensioni: 5/5

Libro delicato e bello. Mi pare davvero un bell'esordio!

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chariclaz
Recensioni: 3/5

Padova, sette amici inseguiti e narrati nell'arco di un ventennio che dimostra come mutano le epoche, la città circostante, muta il tessuto sociale e politico ma soprattutto mutano loro stessi. Claudia Grandene, in questo suo libro d'esordio, racconta infatti di gioventù, di università, di rivolte studentesche, di amicizia, di amore fino ad arrivare ai fidanzamenti, ai matrimoni e ai figli, passando ovviamente per crisi matrimoniali e tradimenti di ogni sorta. Un bell'affresco di quella che era la giovinezza e di quello che invece può diventare con il trascorrere del tempo, tra sbagli e successi, tra sogni, realtà, illusioni, sconfitte, rimpianti, nostalgie ma soprattutto accettazione della vita.

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Voce della critica

Grendene, Padova e gli eredi della sconfitta

Eravamo sette amici a Padova. Un debutto che non passa inosservato. “La morte cambia le cose dei vivi” è l’incipit che scaraventa subito il lettore in un presente doloroso. Un romanzo generazionale, di uomini e donne molto vicini al nostro presente, che sprigionano empatia, fin dalle prime pagine. E poco importano, per certi versi, la loro collocazione geografica e il loro microcosmo universitario e di relazioni, parlano a una platea più vasta. L’autrice è una bibliotecaria di ottime letture e studi filosofici, Claudia Grendene, che ha l’età perfetta per raccontare le storie e gli amori di sette personaggi, a ritroso nel tempo, dal 2013 alla metà degli anni Novanta. L’esordio si intitola Eravamo tutti vivi e ci scommette su l’editore Marsilio, a cominciare dalla responsabile della narrativa italiana, Chiara Valerio.

Nell’esordio di Claudia Grendene, veronese d’origine ma da sempre padovana, c’è però il tocco della Bottega di Narrazione del talent-scout Giulio Mozzi. Di colui cioè che a portato a galla Leonardo Colombati e Giorgio Falco, Alberto Garlini e Umberto Casadei (ma che fine ha fatto?), Laura Pugno e Tullio Avoledo, Vitaliano Trevisan e Alessandra Sarchi. Scrittore vero, specie di racconti, negli anni Mozzi ha affinato il fiuto per le pagine altrui, trascurando le proprie. Scelte poliedriche, talvolta eccentriche, senza nessun fil rouge a tenerle assieme, eccezion fatta che per la qualità della scrittura di autori che stanno quasi tutti reggendo all’onda d’urto del tempo, almeno di quello breve. E anche Grendene sembra tutto, fuorché un fuoco di paglia.

“Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza”. Potrebbero chiederselo, come nell’incipit di Seminario sulla gioventù di Aldo Busi, quasi tutti i personaggi di Eravamo tutti vivi. Quasi tutti tranne Max, Massimiliano Mercuriali (ha amato Agnese? ha amato Chiara? né l’una né l’altra?), che è morto in Messico, in circostanze poco chiare, e al cui funerale si ritrova tutta la comitiva del tempo che fu. Potrebbero chiederselo tutti, cresciuti assieme, più o meno uniti ai tempi dell’università – che come tutti hanno fatto i conti con disagio e solitudine, violenze e difficoltà economiche – poi travolti dalle vite, da matrimoni, figli, tradimenti e separazioni, perfino dall’aver creduto (ma fino a quanto) in certa lotta politica, nell’antagonismo. Sono eredi della sconfitta, per citare il titolo di uno splendido romanzo dell’indiana Kiran Desai. Speranze e sogni si sono accartocciati, il mondo non è migliorato. E Grendene mette sulla pagina un grado di partecipazione viva, che fa la differenza.

Naturalmente il gruppo di Eravamo tutti vivi è sfaccettato e tutt’altro che monolitico. Non tutti si sposano, non tutti navigano nell’oro, non tutti credono nell’amore (quelli che ci credono di più sono Alberto e Anita, cugini, osteggiati dalle famiglie). Tutti, indistintamente, sbagliano qualcosa, s’inceppano, disillusi falliscono. Per gli errori, però, c’è indulgenza, nello sguardo di chi narra, Grendene non affonda il colpo, non mette in croce le sue “creature”. Le sconfitte pesano, restano, lasciano il segno, ma c’è un filo di comprensibile compassione nella terza persona singolare che racconta, non meno sincera e viva di quanto sarebbe stata una prima. I desideri sono sfumati, peggio, si sono disintegrati, certe paure (su tutte, quella di restare soli) si sono concretizzate, e il mondo – azzerate le ideologie, emerso come preponderante un precariato che è prima di tutto esistenziale – è cambiato a velocità vertiginosa. Era impossibile restare in piedi, fra traumi e fughe, amori e divorzi. Era impossibile restare vivi.

Recensione di Giovanni Leti

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