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Nove anni fa Vittorino Curci distribuiva un librino di prose, fuori commercio. Mi colpirono, di quegli schizzi narrativi, sia la capacità di tratteggiare i caratteri di una comunità un po’ lunatica, quella nocese, appunto, sia la lingua, capace, con voluti alti e bassi di registro, di mettere a braccetto la sapienza popolare con la speculazione metafisica. Mi ricordo una prosa intitolata Riprese, che si dipanava da un luminoso incipit in forma di ritaglio smarrito, di cui si dava conto, spiazzandoci, solo al termine: «Tanto vale vivere, concludeva non so chi, sul giornale, dopo aver considerato che i rasoi fanno male, i fiumi sono gelidi, le droghe danno i crampi. (Altri inconvenienti sarebbero l’odore nauseabondo del gas, l’illegalità delle pistole, i cappi che cedono…. Avendo perso il ritaglio cito allegramente a memoria…) Tanto vale, dico io, farsela piacere la vita. Se uno se ne fa capace e non ha grilli per la testa, il guadagno è certo». Dopo le digressioni, la fine: «Ah! Il ritaglio che cercavo all’inizio è una piccola deliziosa poesia di Dorothy Parker pubblicata da l’Unità. Era finita, a mo’ di segnalibro, tra le pagine di un romanzo che avevo smesso di leggere». Paiono tutti germogliare su foglietti dimenticati i racconti di quel libro che ora torna in libreria. Alcune prose qui mancano, altre vi si aggiungono, ma lo spirito è quello: un campionario di memorie, di personaggi minori, di situazioni surreali, di saggezza prosaica quali solo la fantasia collettiva di un paese sa perpetuare. Marziani nel cortile della scuola, Gemino che dava i numeri e l’altra «insubordinata umanità di spacconi, di fantasticatori loquaci, di svitati incurabili e sentimentali [che] è la negazione di quella paccottiglia di frasi fatte che si ascoltano ogni giorno». Che sia una realtà di fatto o un idillio fiorito sul campo dell’utopia, la Noci di cui Vittorino Curci da sempre si fa interprete è un mondo che davvero, fuori da ogni astratta filosofia meridiana, si fa amare di per sé, facendoci esclamare: tanto vale vivere… qui!
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